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L’errore non esiste. Parola di Barabubbles

La crisi è un’opportunità per etimologia. E lo è, talvolta, anche ciò che chiamiamo “fallimento”. Isabella Mandelli era una manager che ha bruciato le tappe della carriera in brevissimo tempo, fino a raggiungere la posizione  di CEO in una multinazionale americana, operativa in ambito medicale. Un’ascesa velocissima, unita a una determinazione che le ha consentito di laurearsi lavorando e di conseguire borse di studio a Londra e San Pietroburgo.

«Ero molto concentrata a portare vendite e profitto per l’azienda:  questa attitudine iper razionale e logica mi ha fatto vincere premi di produzione e viaggi di incentivo. Mi sentivo una superstar aziendale».

Letizia Mandelli
Letizia Mandelli

Poi, la manager dai superpoteri venne destabilizzata dall’imponderabile.

«Ogni anno usciva un sondaggio anonimo sul gradimento del personale, composto da 12 domande tra le quali. ‘Il tuo capo si prende cura di te come persona?’. Ero molto fiduciosa di ottenere un buon risultato, visto che tutto il team aveva vinto premi di produzione e riconoscimenti monetari. Ma mi sbagliavo:  ho scoperto con sorpresa che il team mi aveva clamorosamente bocciata come leader,  perché le persone non si sentivano valorizzate e ritenevano io pensassi solo al risultato finanziario».

E come sempre accade, l’imprevisto ci porta a considerare vie che altrimenti avremmo ignorato. 

In quel momento, complici gli archetipi Junghiani e una vocazione all’arte che era emersa fin dalla tenera età, nascono gli strumenti che avrebbero consentito a Isabella di passare dal management al coaching mediato dall’arte: i Barabubbles.

Ovvero, i personaggi simbolo con cui Isabella, oggi Life Skill Trainer,  fa recepire ai suoi team che l’errore non esiste.

Cosa sono i Barabubbles?

«Sono archetipi, figure fantastiche  che si basano sugli stili comportamentali di Jung: Barabà, Boda, Finolu e Oco. L’iper energetico che ama il rischio, l’accogliente e  riflessivo che si pone in ascolto, il riservato metodico e il dinamico creativo. Ognuno rispecchia  caratteristiche diverse ma tutti sono accomunati dall’obiettivo del prendersi cura di sé e degli altri, di promuovere serenità, cura e gentilezza».

Cosa intendi dire affermando che l’errore non esiste?

«La mia esperienza mi ha fatto capire che è necessario stimolare la fiducia delle persone, l’accoglimento delle diversità in un ambiente dove il giudizio è sospeso.  L’errore rappresenta un modo per innovare, per sperimentare insieme.  Non esiste l’errore, esiste l’errare per cercare una via nuova».

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Da manager a coach valoriale: le aziende accolgono questa visione illuminata?

«La formazione che propongo si basa sulla mia esperienza personale di leader d’azienda ed è volta a stimolare le competenze e le risorse interne di ognuno. Per farlo, mi  baso sulla creatività e sulle soft skills. Organizzo workshop esperienziali ed emozionali con gli acquerelli sui temi della fiducia, della cura, dell’inclusione e del benessere. La leadership premurosa che porto attraverso i Barabubbles si rivolge proprio ai team che si occupano di leadership».

Come facevi a essere così performante nelle vendite?

«Mi riusciva facile. Ma è stato proprio il fallimento a farmi riscoprire la creatività come leva per puntare sulle relazioni profonde, sull’accoglienza dell’altro e delle diversità. Ho introdotto l’arte come veicolo formativo e di coaching per stimolare la creatività e andare oltre l’errore. Tutti ci siamo riconosciuti in uno dei personaggi e li abbiamo integrati nella pratica lavorativa come compagni di vita. L’arte ci ha aiutati a sdrammatizzare, ad accogliere le diversità, ad accettare le persone diverse da noi. Questa contaminazione artistica è stata molto apprezzata dall’azienda e ha portato l’organizzazione a intraprendere nuovi progetti in armonia, senza dimenticare l’obiettivo comune».

Facci un esempio…

«Per esempio con i Barabubbles ho sviluppato un progetto in azienda dal nome ‘Dona Tempo’ dove tutte le persone al di là delle gerarchie, mettevano a disposizione parte del loro tempo per chiunque volesse. Soprattutto gli apicali si mettevano a disposizione dell’organizzazione dando la possibilità a chiunque, non solo ai loro diretti riporti, di entrare in relazione con loro. Questo meccanismo ha creato un circuito virtuale di nuove connessioni e conoscenze, senza barriere e gerarchie, costruendo fiducia e cura».

Quindi l’arte è diventata linguaggio valoriale anche per il management?

«Si, ma a latere dei  workshop esperienziali ed emozionali, la mia è un’arte che vuole propagarsi al di fuori della tela per assumere le sembianze di un casco per scooter, una maglietta, un piatto in porcellana, un gioiello, un libro Mandala da colorare con gli acquerelli. Stiamo vivendo un momento storico drammatico, dal covid alle guerre, ritengo che l’arte sia un potente aggregatore di anime e di valori».

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E’ uscito il tuo libro a febbraio, a marzo il casco Barababubbles: che altro?

«Si, dopo il libro “Barabubbles mandala” e il casco in collaborazione con il marchio Helmo, ho appena realizzato la mostra varata al piano terra del settecentesco Teatro Palazzo Saluzzo di Paesana, vicino a Torino.  Un  “Viaggio nel mondo dei Barabubbles”, una sorta di inno artistico alla cura per se stessi, curata da Ermanno Tedeschi e caratterizzata da un suggestivo percorso espositivo di circa 70 opere su carta realizzate con  tecnica dell’acquerello».

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Monica Camozzi

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