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Lotta, l’artista climatica che fa bene al Pianeta

Lotta, l’artista climatica che fa bene al Pianeta

Nome in codice, Lotta. Un alias ben più importante di un semplice naming artistico per la giovane Carlotta come vedremo nel corso di questa intervista.

Come ti descriveresti in poche parole?

Sono Lotta, artista climatica che poco più di un anno fa ha deciso di rivoluzionare la sua vita. Ci troviamo a quasi 1.5 gradi di alterazione della temperatura globale. Abbiamo dato vita alla sesta estinzione di massa degli ecosistemi e delle specie viventi. C’è la grande possibilità che io, e sicuramente i miei futuri figli, se ne avrò, diventeremo migranti climatici tra le guerre per le risorse. Il climate clock scandisce il tempo, mentre la morte affila la sua scure. Quante vite si prenderà se non facciamo niente? Le ingiustizie sono troppe e troppa gente pensa al profitto, mentre ci condanna. Il mio fuoco, ciò che mi guida, è un incendio, spesso mi brucia, ma non importa. Non posso rimanere a guardare. Sento che attraverso forme creative, attraverso il “narrare”, il “raccontare”, attraverso la musica, si possa creare un ponte tra messaggio e individuo.

I dati non bastano, voglio veicolare le emozioni con musica e parole. Al liceo non avevo mai immaginato di poter fare qualcosa. Urlare nelle piazze è stato il primo passo per esprimere la mia rabbia e iniziare la mia lotta, ma un giorno, invece di urlare, cantai e tutto da quel momento cambiò. In quell’istante avvenne la mia Detonazione. Tornai a casa dal Parlamento di Strasburgo, dove era avvenuta la mia prima manifestazione, e scrissi Lotta Traviata, che divenne il primo atto del mio spettacolo, Detonazione.

Qual è il rapporto tra musica e clima?

Oggi raccontare la crisi climatica non è più solo una questione razionale, è importante salire di livello andando a toccare le corde emotive. Per farlo è chiaro che si devono utilizzare forme più artistiche. Possono essere legate all’arte figurativa, possono essere film, documentari, saggi, romanzi. La musica per definizione tocca le emozioni delle persone, per cui andare a raccontare la crisi climatica partendo proprio dalle emozioni, e non dalla ragione, funziona. Forse è l’unico modo per avvicinare questo argomento immenso alle persone che a livello razionale hanno rimosso la problematica o se ne discostano.

Penso ai negazionisti, penso a chi non ha gli strumenti per capire il messaggio che gli scienziati stanno portando avanti, penso alle persone più anziane che magari percepiscono il problema con meno urgenza. C’è chi sceglie la protesta, c’è chi sceglie la marcia per il clima, la disobbedienza civile per toccare l’emotività delle persone. Io ho scelto l’arte e ho scelto la musica, il canto, perché sono i miei mezzi espressivi da quando sono bambina. L’obiettivo che ci dobbiamo porre come artiviste e artivisti, come qualcuno ci definisce, è proprio quello di raggiungere la più ampia platea possibile, fatta anche di tutte quelle persone che magari hanno già rifiutato l’argomento.

Si può vivere di arte oggi?

Credo sia l’unico modo per vivere, ma non sempre è sufficiente per sopravvivere.

Sarebbe bellissimo se fosse così, ossia se riconoscessimo un valore sociale maggiore a chi fa arte, ma purtroppo non è notizia di questi giorni che a guidare il mondo è il denaro, più che la bellezza. Non credo si possa vivere davvero senza l’arte, perché per me vivere davvero significa sapersi indagare in profondità, d’altro canto l’arte da sola basta a pochi fortunati, che spesso sono scesi a patti con le regole di mercato pur di farla fruttare: come si dice, non ci sono poeti ricchi. 

Spero di riuscire a dedicarmi per la maggior parte del mio tempo all’arte, calandola nel mondo per metterla al suo servizio, affinché continui a essere uno strumento pe perseguire il giusto. Ovviamente il sogno continua a brillare nella mia testa: spero davvero di riuscire a vivere di quello che faccio e soprattutto poter anche dare un lavoro a tutti i miei amici che ora mi aiutano gratuitamente, dalla produzione della musica, all’organizzazione delle date, fino alla comunicazione del viaggio. Grazie Sharxx, grazie Kaue, grazie Iacopo. 

Dicono che oggi i giovani non abbiano la testa sulle spalle… Da cosa nasce secondo te questo mito da sfatare e come si potrà sfatare?

Il paternalismo con cui si tende a guardare i giovani a volte è imbarazzante. Credo non ci sia niente da sfatare, chi generalizza in questo modo si commenta da solo. I movimenti, anche in Italia, stanno diventando sempre più intergenerazionali: alle manifestazioni si trova gente di ogni età, che ammette le responsabilità incalcolabili della propria generazione e fa il possibile per rimediare. Avere la testa sulle spalle significa essere saggi, ma cosa c’è di più saggio che scendere in piazza per avere un futuro dove casa, acqua e cibo siano assicurati a tutte e tutti? Credo che questa come tante altre sia una forma di delegittimazione.

Prossimi impegni?

Al momento sto frequentando la Scuola Holden, un viaggio tra le parole per scoprire le infinite vie del nominare, del narrare, del divulgare. Sto poi lavorando a nuovi spettacoli, nuove canzoni, nuovi progetti per raccontare la crisi climatica, nei palchi con l’orchestra e nelle piazze con la musica techno; per esempio il mese scorso ho fatto ballare le maggiori piazze d’Italia durante una protesta nazionale di Fridays For Future con il brano POWER, realizzato con il mio produttore Sharxx, poi le piazze di Parigi che hanno voluto il pezzo dopo averlo visto esplodere sui social. Mi piace portare i miei progetti in giro, ho da poco preso parte a TedX Varese con Detonazione, sto perfezionando il terzo e l’ultimo atto dello spettacolo, ma soprattutto sto scrivendo, perché mi aiuta a mettere in ordine tutto quello che imparo ogni giorno, il mio sogno è riuscire a scrivere il mio primo album. Arriverà presto, promesso. 

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