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Idromele, Garum e Grani Turanici: il ritorno dei sapori antichi nelle cucine moderne

Nel panorama contemporaneo dell’enogastronomia, la parola “antichi” è diventata un passe-partout per evocare autenticità e tradizione. Spesso associato a prodotti che richiamano un’epoca pre-industriale, il termine trasporta immediatamente la nostra immaginazione a un mondo in cui agricoltura e alimentazione erano intrinsecamente legate alla terra, lontane dalle moderne tecnologie e dai processi industriali.

L’idea di un ritorno ai “sapori di una volta”, genuini e privi di contaminazioni chimiche, è irresistibile per molti, rappresentando una sorta di rifugio dalla modernità.

Tuttavia, esiste un livello ancora più profondo di riscoperta dei sapori, un viaggio nel tempo che sta catturando l’attenzione non solo dei curiosi ma anche degli esperti del settore. È il mondo dei cibi, delle bevande e delle ricette che, per lungo tempo, sono stati considerati archeologici, testimonianze di culture e tradizioni ormai scomparse o dimenticate. Questi antichi sapori stanno tornando alla ribalta, riportati in vita da cantine, chef e distillerie, offrendo un’esperienza gastronomica che è allo stesso tempo storica e sensoriale.

Non si tratta solo di una moda passeggera, ma di una vera e propria riscoperta culturale. Ogni piatto o bevanda ricreata è un viaggio nel passato, una finestra aperta su epoche lontane che oggi rivivono attraverso sapori autentici, un tempo considerati perduti.

Abbiamo selezionato per voi cinque di questi sapori che, dopo essere stati a lungo dimenticati, sono stati riportati alla luce, pronti per essere gustati e apprezzati nuovamente. Un percorso culinario che non solo arricchisce il palato, ma nutre anche la mente, facendoci riflettere su quanto il cibo possa essere un ponte tra passato e presente.

Idromele: il nettare degli Dei

Tra i più antichi fermentati mai creati dall’uomo troviamo l’idromele, una bevanda a base di miele e acqua, nota come “nettare degli dèi”.

Già in uso presso civiltà antiche come i Greci, i Romani e i Celti, l’idromele era apprezzato per le sue qualità inebrianti e sacre. L’essenza di questo prodotto è data da una mescita fra acqua e miele, per ottenere la fermentazione alcolica.

Nell’antichità, questa bevanda dorata era associata all’immortalità e veniva spesso consumata durante cerimonie religiose o rituali, elevando l’idromele a simbolo divino. Celebre per le sue qualità inebrianti, veniva considerato un dono degli dèi stessi, in grado di connettere chi lo beveva con il mondo spirituale.

Nel Medioevo, l’idromele si inserì anche nei rituali laici: era infatti tradizione donare alle coppie di novelli sposi una quantità sufficiente di questa bevanda per coprire l’arco di una luna intera, ovvero un mese. Questo gesto non era casuale: si riteneva che l’idromele avesse proprietà magiche capaci di favorire la fertilità e, in particolare, la nascita di un erede maschio, garantendo così prosperità alla famiglia.

Oggi, grazie a produttori come Essentiae Lunae, l’idromele sta conoscendo una nuova primavera. Questo piccolo produttore italiano si dedica alla creazione di idromele utilizzando tecniche tradizionali, ma con una sensibilità moderna, offrendo un prodotto che coniuga storia e gusto contemporaneo. L’idromele di Essentiae Lunae si distingue per la sua delicatezza, per la sua produzione viene utilizzato miele millefiori della Lunigiana e acqua sorgiva delle Apuane;

il miele viene disciolto in acqua in debite proporzioni e il mosto ottenuto, posto a fermentare in fusti di acciaio per il tempo necessario a raggiungere la gradazione alcolica desiderata. Caratterizzato da una straordinaria delicatezza e una raffinata dolcezza, accompagna formaggi, frutta secca, dolci e cioccolato fondente ed è ottimo da meditazione.

Nell’antica Roma, il garum era uno dei condimenti più apprezzati e versatili. Questa salsa di pesce fermentata, dal sapore intenso e caratteristico, era usata per arricchire una vasta gamma di piatti, esaltandone i sapori. Oggi, il garum è quasi scomparso dalle nostre tavole, ma la sua riscoperta si inserisce in un più ampio movimento di recupero delle tecniche fermentative antiche.

idromele

Sebbene il processo di produzione del garum possa sembrare arcaico, con le sue lunghe fermentazioni e, alcuni chef e produttori lo stanno riportando in auge come condimento umami per arricchire le pietanze moderne.

Tra coloro che stanno riportando in auge questo antico condimento spicca Edoardo Tilli di Podere Belvedere.

Tilli utilizza il garum per produrre un insaccato unico, che lui stesso definisce “violino” di pecora, realizzato con carne di pecora di otto anni macellata in fase di lattazione.

Tradizionalmente, i violini di pecora o capra venivano realizzati senza pelle, con una salatura diretta che rendeva la carne secca e scura. Rispetto a questto la tecnica di Tilli si distingue per un approccio più delicato e complesso: dopo aver depilato la coscia, la immerge in un Garum di Pecora, seguito da una salatura leggera del 15% (anziché il classico 100%) per otto giorni.

Successivamente, la carne viene asciugata e stuccata con il suo grasso, per conservarne la morbidezza e avviare una fermentazione controllata.

La carne di pecora anziana, soprattutto durante la lattazione, sviluppa una complessità gustativa straordinaria, arricchita da note di latte e formaggio. Questo processo conferisce al prodotto finale una profondità e un’emozione gustativa che richiama sapori ancestrali, adattandoli però al palato moderno.

I grani turanici: un cereale antico per la tavola moderna

Il grano turanico è una varietà antica di frumento, le cui origini risalgono a migliaia di anni fa nella regione della Turania, che si estendeva tra l’Asia centrale e il Medio Oriente. Coltivato fin dall’antichità da popolazioni nomadi e contadine di quelle aree, questo grano ha attraversato i secoli mantenendo intatte le sue caratteristiche genetiche, resistendo così alle selezioni e manipolazioni che hanno invece modificato i grani moderni.

Dopo un lungo periodo di oblio, è stato riscoperto negli ultimi anni grazie al crescente interesse per le colture tradizionali e resilienti, con un focus sulla qualità nutrizionale e ambientale. Considerato un “grano ancestrale”, è apprezzato oggi per la sua capacità di prosperare in condizioni climatiche difficili e per il suo contributo alla biodiversità agricola, mantenendo vive tecniche di coltivazione sostenibili.

Il Pastificio Mancini ha riscoperto questo grano, che un tempo cresceva spontaneamente nelle zone montuose dell’Asia centrale, integrandolo nella propria produzione di pasta artigianale. La linea di pasta di grani turanici di Mancini celebra la biodiversità e le qualità organolettiche di questo grano, caratterizzato da un sapore più rustico e una consistenza robusta, che si sposa perfettamente con condimenti corposi. Grazie a queste antiche varietà, la pasta torna a essere un alimento che non solo nutre il corpo, ma anche la memoria storica.

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Anna Lobascio

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