Il gap culturale che blocca le aziende italiane a Dubai
Quando un asiatico porge un bigliettino a due mani e chi lo riceve non lo guarda e lo mette in tasca, ha già perso metà della trattativa.
Al pari, fare pressione ad una mail in un certo modo tipicamente italiano, trattare un uomo e duna donna allo stesso modo, manifestare impazienza e assenza di rispetto per alcuni codici, può essere la dirimente che non ti aprirà mai le porte del mercato emiratino.
Questa volta, guidati da Fabio Maggesi di Meplaw, andiamo a fare due chiacchiere con Alessandro Frangella: commercialista, riferimento della comunità imprenditoriale italiana a Dubai per la sua competenza in materia fiscale e societaria, presidente dei commercialisti internazionali a Dubai.
E mentre gli parliamo e ascoltiamo la sua esperienza, il gap culturale che spesso impedisce alla imprese italiane medio piccole di sfondare anche se ne avrebbero tutto il potenziale, salta su come un tappo di sughero.
Dottor Frangella, lei segue le aziende passo passo, quali lacune ha individuato in tutti questi anni? Come possiamo esemplificare questo gap culturale?
Studiare la cultura locale non è opzionale, risulta determinante! Nel senso che non ci si siede nemmeno. E non mi riferisco solo all’ambito societario. Se ti invitano a prendere un the e non parlano del business, può darsi che di te ne arrivi un secondo e un terzo…Inshallah non è un modo di dire, rappresenta un fondamento. Prima al vaglio ci sono le persone, poi si passa al business.
Gli italiani non comprendono questo aspetto?
Le imprese italiane hanno bisogno di supporto e aiuto. Non basta avere un magnifico prodotto. Ci sono tante aziende italiane che hanno avuto successo qui: la rete metropolitana di Dubai è stat creata da una nostra azienda, vai nella moschea più importante e trovi marmo di Carrara…ma si potrebbe fare molto di più se pensiamo al potenziale del nostro paese.
Ad esempio: non si può studiare quali passi è possibile muovere, o quali sono i limiti di una licenza, dopo aver fatto il set up societario! Ci sono poche regole e chiare, esistono implicazioni di natura fiscale cruciali per chi si avvicina e vuole fare sviluppo conoscendo le implicazioni della sua posizione in Italia.
Parliamo ancora del mercato più frizzante al mondo?
Sicuramente è un mercato straordinario, c’è bisogno di beni, servizi, professionalità, risorse umane. I programmi qui sono a lungo periodo e molto spesso le aspettative vengono superate ampiamente. Se parti pensando di fare 100 in un mese, scopri che al ventesimo giorno sei a 110.
Le grandi opere vanno veloci, la visione di chi governa è chiara, trasparente, seria. Non si tratta solo di denaro: certo, gli aspetti fiscali sono fondamentali, aiutano ad attrarre i capitali. Qui si tratta di visione: lo sviluppo di Dubai è generato da una stabilità politica, da progetti e idee lungimiranti, da una politica monetaria e fiscale avveduta. Ma la cultura che sottende a tutto questo deriva dalla Sharia e il gap culturale non è ammesso. Il complesso di regole di vita e comportamento è una dirimente anche nel business.
Lo ha sperimentato di persona? Come ha deciso di stabilirsi a Dubai?
Anche io circa 20 anni fa mi sono preso le mie belle portate in faccia a causa di questo gap culturale! In quegli anni, quando muovevo i miei primi passi professionali a Dubai, non capivo perché certe riunioni non si aprivano e non si chiudevano, perciò, sono andato ad approfondire all’università elementi della cultura araba e islamica.
Quando conosci, comprendi cosa hai sbagliato, perché hai mandato quella mail a quell’orario, perché hai scelto il giorno meno indicato, perché non devi mai fare pressione, mai rivolgerti a una donna come a un uomo. Noi, da italiani, siamo cortesi e ci rivolgiamo allo stesso modo agli uomini così come alle donne, ma talvolta ciò può essere percepito come mancanza di rispetto. Bisogna saper osservare le dinamiche durante i meeting di business e comprendere tanti segnali durante le riunioni o banalmente ad esempio conoscere il senso di essere seduti a destra o a sinistra del leader, per comportarsi di conseguenza.
La mia avventura è partita 20 anni fa su iniziativa di un avvocato che mi aveva chiesto un contributo per i contenuti nel suo sito internet e iniziai a informarmi perché non conoscevo la realtà emiratina, mettendo contenuti riguardanti il diritto societario e fiscale. Poi ho deciso di specializzarmi in questo Paese incredibile e mentre quel sito ha iniziato a volare… io iniziavo la mia avventura professionale.
Come sono arrivati i primi clienti?
Dopo una trasferta, si trattava di un evento fieristico legato al Real Estate: ai tempi collaboravo con il gruppo Programma Italia oggi noto come Banca Mediolanum. Nacque una collaborazione con Milan calcio su un progetto di sviluppo del brand negli Emirati Arabi e io mossi i miei primi passi partendo dall’evento City Scape Global. Da lì arrivarono i primi altri clienti e rimasi folgorato. L’economia era già in grande crescita in quegli anni che per me hanno rappresentato un valore importante dal punto di vista umano e professionale.
Torniamo alle nostre aziende: come possiamo superare questo gap e aiutarle a crescere negli Emirati?
Prima di tutto fornendo un aiuto strutturato: io mi occupo degli aspetti societari e fiscali, per gli altri aspetti amo selezionare e avere accanto professionisti di valore che riscontro in maniera importante anche in Meplaw. Il buon lavoro e la soddisfazione dei clienti è solo una logica conseguenza.
Certo, mi capita di vedere altri stati, ad esempio la Francia e non l’Italia, dove le istituzioni pubbliche sono molto più attente alla crescita delle loro imprese all’estero, supportando soprattutto le aziende con necessità dal punto di vista commerciale, aiutandole concretamente per lo sviluppo del business e non certo dando lavoro ai soliti tre o quattro grossi gruppi.
C’è bisogno di serietà. Bisogna saper competere, servono imprenditori sani che abbiano intenzioni serie. Il “venite qui dove tutto è facile e che c’è tanto da fare” non funziona.
Inoltre, serve una formazione manageriale, fondamentale per colmare il gap culturale.
Possono essere utili i progetti finanziati dalla UE?
Credo molto nei progetti di internazionalizzazione finanziati dalla UE per aziende italiane che abbiano intenzioni serie.
Fiere, fondi per internazionalizzazione, accesso al credito agevolato, aprono tutti opportunità importanti.
Il mercato è aperto a tutto, dalla tecnologia all’estetica?
Si, ma è l’approccio che fa la differenza. Prendiamo ad esempio un brand di moda. Se il designer riesce a capire qual è l’approccio culturale qui, a calarsi nella realtà, usare sete meravigliose senza necessariamente scoprire le forme femminili, a valorizzare con eleganza la personalità della donna, allora è arte, magari di firma italiana sicuramente vincente. Si parte dal rispetto, da un’attitudine religiosa che permea la società e il business. E torniamo al gap culturale delle aziende italiane.
L’8 marzo scorso a Dubai si è tenuto un evento legato alla valorizzazione della donna promosso da imprenditori italiani nel settore del make-up con il patrocinio delle istituzioni locali: si può e si deve insegnare anche a truccarsi nel rispetto della cultura locale.
Gli Emirati stanno facendo grossi passi avanti anche nel diritto di famiglia, nella condizione della donna. Ricordiamo che qui anni fa venne istituito il Ministero della Felicità guidato da una donna, il Ministro H.E. Ohood bint Khalfan Al Roumi, con lo scopo di garantire benessere e felicità al popolo degli Emirati Arabi.
Non ricordo in Italia il Ministero della Felicità.
Quale tipo di aiuto pratico offrite alle aziende, oltre alla consulenza?
Aiutiamo le imprese a orientarsi con cura negli Emirati e le introduciamo nel sistema economico. Ad esempio, l’Italian Business Council è un buon veicolo in tal senso, poiché promuove iniziative per far conoscere le aziende italiane sul territorio.
Inoltre, con il Dubai Chamber ci sono iniziative importanti che stiamo sostenendo a vantaggio delle imprese italiane a Dubai e organizziamo attività di networking.
Lavoro anche in Arabia Saudita, anche al fine di offrire maggiori opportunità di connessione alle aziende.