Innovazione e crescita: Riflessioni sull'integrazione tra consulenza aziendale e formazione
“È indispensabile che ognuno sia utile”. Questo è il mantra di Davide D’Ambrogio, career coach e formatore. Il lavoro come freelancer è diventato una vera missione che mira a creare un paradigma in cui l’utilità di ciascuno diventa imprescindibile.
Quanta determinazione e spirito volitivo occorrono per affermarsi come freelancer in Italia al giorno d’oggi? E soprattutto cosa ti ha spinto a indossare questo abito mentale?
In generale si può dire che l’attività di freelancer richiede una “disciplina determinante” costante: ovunque, ma a maggior ragione in Italia in virtù delle complicazioni burocratiche e fiscali nazionali, fare il freelancer significa pensare quotidianamente al rinnovamento dei propri obiettivi e delle proprie energie nel conseguirli. Non si tratta di fare un lavoro, ma di diventare una missione.
Nel mio caso, è stata un’indagine interiore alla scoperta dei miei valori fondanti e dei fattori motivazionali prioritari: una certa incapacità di sottostare ad ordini e subordini non condivisi, l’esigenza di variare, la volontà di misurare i propri risultati con la propria capacità operando entro limiti più ampi. Una SWOT personale insomma…
Qual è l’iter operandi che segui nel fornire la tua consulenza HR a un’azienda?
Il primo passaggio è un’approfondita analisi delle esigenze: riuscire a raggiungere una sintonia mentale e valoriale con l’azienda per definire obiettivi, esigenze e modi.
Segue una mia valutazione delle mie effettive capacità di supportare l’azienda a raggiungere i propri obiettivi e – nel caso io possa davvero supportarli – una definizione condivisa del piano d’azione, delle scadenze e – sopra ogni cosa – delle aspettative reciproche.
Il resto dipende dalla tipologia della consulenza richiesta. Modi, tempi ed azioni variano enormemente poiché credo molto poco nei pacchetti pre-confezionati.
Se dovessi indicare le “strategie” che meglio si prestano alla completa valorizzazione del capitale umano, all’interno di un contesto aziendale, quale proporresti?
Le strategie sono potenzialmente infinite: da un corretto onboarding, fatto di chiarezza di ruoli e di aspettative, alla creazione di un programma calendarizzato ed ufficializzato di performance management, passando per il rinnovamento della cultura del mentoring, del feedback e dell’errore, al fine di generare un’appartenenza, circolazione delle idee e fidelizzazione.
In una semplice visione che determina le strategie, direi che alla base c’è la volontà di porre il capitale umano come obiettivo. Lavorare con l’obiettivo di rendere il capitale umano partecipe, capace del massimo potenziale ed entusiasta, significa determinare i risultati aziendali come naturale conseguenza. Il paradigma deve diventare “è indispensabile che ognuno sia utile”.
Come individui e analizzi i bisogni specifici di un’azienda prima di supportarla col tuo programma di consulenza?
Interviste, colloqui, moduli da compilare, incontri preventivi e scrittura degli indicatori fondamentali fino a ché non sia condivisa ogni virgola.

Come misuri l’efficacia dei tuoi interventi? Ci sono indicatori di successo che consideri fondamentali?
Dipende dagli interventi; la maggior parte delle mie attività portano a risultati se viene assunto l’impegno anche successivamente alla collaborazione con il sottoscritto.
Gli indicatori sono la riduzione del turn-over, la velocità di risoluzione dei conflitti, il conseguimento di obiettivi personali e di team, l’efficacia della valutazione dei percorsi personali con conseguente impatto su produttività, vendite, marginalità etc… ma mentirei se dicessi che l’impatto è diretto ed immediato; solo chi ha voglia di avventurarsi in un vero percorso di cambiamento e di miglioramento continuo può realmente permettersi delle consulenze HR, altrimenti si sta solo facendo i fighi per riempirsi la bocca di cose che suonano moderne.
Potresti condividere un esempio di come hai personalizzato con successo un programma di formazione o di consulenza HR?
Sarebbe molto lungo da raccontare ma in sintesi ho implementato:
- Onboarding delle nuove persone
- Programmi di mentoring e reverse mentoring
- Calendarizzazione di performance management
- Momenti periodici di brain-storming sperimentali
- Sistemi di premiazione su obiettivi individuali e di gruppo
- Momenti costanti di team-building
- Possibilità di crescita trasversale con progetti collaterali
Nell’arco di un anno l’azienda cliente passò dall’essere un punto di fuga per tanti collaboratori e tante collaboratrici ad essere l’azienda di settore a cui arrivavano CV anche dai collaboratori della concorrenza.
Quali consigli daresti a coloro che desiderano costruire un percorso efficace per raggiungere i proprio obiettivi professionali?
Di misurare con profonda onestà intellettuale per quale motivo sono importanti quegli obiettivi e che cosa sono disposti a fare per raggiungerli. E di chiedere aiuto se le idee sono confuse.
Quali sono le sfide che affronti più spesso?
Il commercialista, l’INPS e l’IRPEF.
Scherzi a parte (ma neanche troppo) la fatica nel portare idee che sono già concrete altrove e che qui da noi sono ancora lontane anni luce per molta gente, e la negatività delle persone che approcciano qualunque novità con la faccia di chi ha già rinunciato.
Come integrare l’employer branding nei processi di consulenza per migliorare l’immagine e l’attrattività di un’azienda sul mercato del lavoro?
Per questa domanda ci vorrebbero almeno 16 ore di corso di formazione.
Esistono due modi di fare employer branding: uno è cantarsela e suonarsela con delle buone pubblicità (sconsigliata: si spendono soldi e non si risolve il problema ma si sposta il problema altrove), l’altra è faticare tanto e per lungo tempo, lavorando sulla creazione di una comunicazione interna ed un’immagine interna gradita alla grande maggioranza delle proprie persone attraverso percorsi di fidelizzazione, di crescita individuale, di circolazione delle idee, favorendo l’employee advocacy e di conseguenza l’employer branding.
Ancora una volta, se l’obiettivo diventano le persone, il risultato viene da sé.
Se diventare attrattivi è l’obiettivo da raggiungere a tutti i costi e non il risultato della reale creazione di qualcosa di attrattivo, le proprie persone diventano uno strumento per riuscirci anziché testimoni di successo, e sarebbe come addestrare delle foche a tenere una palla sul muso, e alle foche, di generare attrazione non penso gliene freghi granché, vogliono solo mangiare il pesciolino alla fine dell’esercizio…
L’aspetto più gratificante del tuo lavoro…
Poter determinare nuovi confini quasi ogni giorno, poter decidere le persone con cui collaborare, poter decidere a cosa rinunciare e poter integrare, spaziare, aumentare, crescere in base alle proprie scelte e decisioni, e non a quelle altrui.
Poter essere colui che crea o colui che distrugge; e quindi alimentare il primo e confrontarsi col secondo.