Se volessimo trovare il David Letterman show del vino, dovremmo bussare alla porta di Alessandro Rossi. Il suo Fulgor Wine Theatre, sul canale YouTube di Partesa for Wine, trasla il racconto dei grandi personaggi, delle storie che scorrono in parallelo al “nettare degli dei” in narrazione cinematografica.
Hegelianamente, potremmo dire che Rossi sia la sintesi fra ragione e sentimento: la vocazione commerciale che ne ha fatto il National Category Manager Wine di Partesa, azienda parte del Gruppo HEINEKEN Italia, e la passione enologica che lo porta a collaborare con i più grandi esperti del mondo del vino e le grandi manifestazioni culturali come il Paestum Wine Festival, di cui è direttore.
Come nasce l’affinità elettiva con il vino?
Iniziamo con il dire che nasco in Romagna da padre romagnolo e mamma toscana. Il mio bisnonno, fattore, aveva un palato così evoluto che addirittura veniva chiamato al mercato più grande della zona, ovvero quello di Forlimpopoli, patria di Artusi, per stabilire il prezzo del vino sfuso. E il vino si consumava in famiglia, come un gesto quotidiano.
Ma la passione non è arrivata subito: ho iniziato a studiare ragioneria all’Istituto Tecnico Commerciale, lasciata per dedicarmi alla mia vera vocazione, Lettere e Filosofia (anche se non ho mai completato il percorso di studi). La folgorazione per il vino è scattata a 17 anni, un pranzo di Natale, quando assaggiai uno dei primi vini “sbagliati”, perché arrivavano da un affinamento troppo lungo in barrique, il che donava a questi vini gusti estremamente dolci e vanigliati. Quel sentore di legno mi ha fatto scattare la curiosità, la voglia di sapere.
Hai avuto dei mentori?
Ho incontrato tanti personaggi estremamente importanti nel mondo del vino, anche nel corso delle mie esperienze in Francia per un master a Bordeaux. Ma se dovessi citare una persona di rilievo sul mio cammino direi che è stato Silvano Puliti della Ruffina, una delle più importanti enoteche toscane all’epoca. Lui ha letto il talento in me, mi ha portato a scoprire la vena commerciale associata alle capacità degustative.
Sei il responsabile vino dell’azienda leader in Italia nella distribuzione Ho.Re.Ca.: quali sono le criticità al momento attuale?
Parlando in generale, se all’estero i produttori si affidano ai distributori, l’Italia è l’unico paese in cui si avvalgono principalmente di agenti diretti: il che significa che non solo devono curare la produzione, ma anche farsi carico della distribuzione e della relativa gestione amministrativa. Il mio sogno, che Partesa mi sta permettendo di realizzare, è un modello che offra un servizio capace di “democratizzare” la distribuzione del vino e superare queste criticità. Il modello di Partesa per il Vino, ad esempio, ricalca quello dei négociants francesi: supportiamo i produttori nella distribuzione e anche a livello commerciale, tecnico e comunicativo, mentre offriamo formazione e consulenza personalizzata ai gestori dei locali.
Siamo ancora forti all’estero? O subiamo la concorrenza di altri Paesi qualitativamente importanti a livello produttivo?
Il nostro vino rimane il più apprezzato a livello mondiale insieme a quello francese. I maggiori importatori di vino italiano rimangono gli USA, dove, non a caso, le comunità italiane sono ancora fortemente radicate. Ma l’Italia è un paese estremamente esterofilo. Per fare un esempio, su 100 italiani che si recano in Francia, tutti visitano il Louvre, ma solo una minore parte di loro ha visitato gli Uffizi. Questo porta a vedere, nelle carte vini proposte nei ristoranti italiani, un 35% dedicato all’estero, Francia in primis.
Cosa mi dici dei giovani? Che rapporto hanno le nuove generazioni con il vino?
Una statistica, uscita da quattro mesi, rivela che un 60% dei giovani dai 18 ai 24 anni non ha rapporti con il vino. Pesano molteplici fattori, prima di tutto un linguaggio del vino ancora troppo tecnico e non inclusivo. Inoltre, un fattore culturale: in passato la famiglia si riuniva sempre a mangiare insieme e in tavola c’era sempre una bottiglia di vino. I tempi sono cambiati e oggi capita più raramente che tutta la famiglia si riunisca a tavola per i pasti.
Ma considerando che il vino è cultura, la cultura arriva dalla tavola. Il vero problema è la divulgazione ed è per questo che abbiamo creato lo storytelling di Fulgor Wine Theatre: una narrazione che usa lo strumento audiovisivo, quasi cinematografico, affinché nella storia “inciampino” anche i non appassionati.
Il paese pullula di Wine week, festival, eventi sul vino: non saranno troppi?
Partiamo dal presupposto che il Vinitaly è la più grande manifestazione dedicata al vino italiano. Ma il nostro paese è lungo e stretto, ha paesaggi magnifici, ed è corretto che nascano diverse manifestazioni, tanto B2B che B2C, e importanti salotti culturali, anche dal respiro internazionale, come Merano Wine Festival, Milano Wine Week, Paestum Wine Festival.
Ognuna ha le sue peculiarità: ci sono realtà più concentrate sulla comunicazione, altre sul business, altre ancora su tagli più tecnici, ma sempre concepiti per portare nella specifica regione il corretto messaggio.
Ci sono dei trend emergenti?
Si, prosegue la ricerca di vini più verticali, capaci di raccontare appieno le potenzialità dei vitigni italiani, che ha portato a un ritorno ai vini in purezza e a uno stile meno denso e corposo. Siamo quindi nel pieno di un cambio stilistico, imposto anche da un cambio climatico e dallo stile sempre più moderno della nouvelle vague degli enologi italiani.
Nessun influencer nel vino?
Per quanto mi riguarda ne esiste solo uno, che ha condizionato per 40 anni il mercato del vino a livello internazionale, e si chiama Robert Parker: un suo 100/100 era in grado di far alzare immediatamente il telefono a tutto il mondo e di finire un’intera produzione in sole 24 ore. A differenza degli influencer di oggi, di lui si hanno poche foto o immagini: bastava quello che scriveva. Ora servono figure di traino, nuovi curatori, giovani giornalisti, siamo in una fase di cambio generazionale e dobbiamo adeguare i linguaggi ai giovani.