La trappola del fondatore: gioie e dolori dei Family Business
Cosa significa la parola “impresa”, in Italia? Perché le parole vanno sostanziate, altrimenti il loro senso diventa evanescente. In Italia, secondo una ricerca Ambrosetti, il Family Business -ovvero le aziende familiari- rappresenta il 90% del tessuto produttivo, occupando il 75% dei lavoratori. Di questo tessuto, solo il 30% sopravvive al primo passaggio generazionale. E appena il 13% arriva alla terza generazione.

Comprendiamo perciò, che sussiste un problema. Per dirla con le parole di Sergio Luciano, si parla di transizione energetica e digitale ma ne esistono altre due di eguale importanza, quella geopolitica e generazionale. Queste considerazioni si trovano nella prefazione del libro “La regola di Gio”, una business novel sul passaggio generazionale che “sfida il tabù che ancora copre il dibattito sull’ultima delle quattro transizioni in corso, quella generazionale, appunto”.
Emanuele Lumini, dottore commercialista esperto in Family Business, attingendo a una storia vera e romanzandola con il pragmatismo di chi affronta messaggi chiari e precisi, ha scelto la novella per farci tuffare integralmente nel mare immenso dei passaggi generazionali. Il suo Gio è un archetipo. Alle prese con quella che viene definita “la trappola del fondatore”. La sindrome del controllo, quell’indomita capacità di affrontare le difficoltà che non basta più, con la complessità del mondo che cambia, l’inclusione di terzi nei processi decisionali.

Partiamo da questa trappola del fondatore, che pare così frequente e difficile da debellare…quando, esattamente, si configura?
Accade spesso che il fondatore, geniale, intuitivo, capace, faccia decollare l’azienda in breve tempo. Al principio ci sono grandi caratteristiche di flessibilità con un basso sistema di controllo, in cui il processo decisionale è veloce e il fondatore si prende la responsabilità di decidere da solo. Il punto è che questo modello di governance non è sostenibile nel lungo periodo. Quando l’azienda si espande, l’età avanza, l’energia magari si riduce e cambiano le dinamiche esterne, oltre che i numeri, il sistema di leadership accentrato diventa ad altissimo rischio.
Qual è l’ostacolo fondante?
Spesso sentiamo dire al fondatore di un’impresa familiare “ma la mia non è un’impresa familiare”, quasi come se la definizione fosse sminuente. In realtà, quando i due sottosistemi Famiglia e Impresa convivono, siamo nel perimetro della impresa familiare. Il figlio di Caprotti raccontava che il Esselunga da quando lui era presente, non aveva mai visto un CdA. Anche le aziende con nomi importanti, quando hanno a che fare con la famiglia, non formalizzano correttamente i ruoli nel processo di governance.
Difficile mantenere l’equilibrio famiglia azienda?
Il problema è proprio mantenere questo equilibrio. Se la famiglia diventa troppo invasiva nei confronti dell’impresa, ad esempio diviene opportunistica e non apporta adeguati contributi, si crea una distorsione. Oppure un familiare è collocato in un ruolo non suo (come ben esemplificato nel libro, ndr), o ancora il ruolo del padre si fonde con quello dell’imprenditore, sovrapponendosi.
Un facilitatore esterno in cosa può essere dirimente?
Se posso azzardare un parallelismo, come il coach di una squadra di calcio vanno guardati i ruoli, le figure strategiche, gli equilibri. Un facilitatore esterno alla famiglia non è migliore per definizione, ma è senza dubbio più idoneo di un familiare che non ha le competenze adeguate. Certo, chi aiuta a gestire il processo deve avere la fiducia di una parte importante della direzione.
Assistiamo spesso a cose che ci fanno capire quanto sia delicata la questione: ad esempio in un’azienda i tre junior volevano prevedere un nostro intervento di nascosto, senza che il fondatore venisse a saperlo. Ovviamente non abbiamo accettato, deve essere la famiglia nella sua interezza a governare il passaggio.
Appunto, quanto conta l’aspetto umano, psicologico, conflittuale? Si guarda ai numeri, alla governance, senza considerare la valenza di questo fattore…
Importantissimo, il ruolo dello psicologo, che è uno dei vari consulenti chiamati in causa. Certo, mi stupisco quando lo vedo assumere il ruolo di mentore. Mi spiego: per migliorare le relazioni bisogna fare in modo che le crisi individuali si risolvano prima di riverberarsi sul collettivo, però lo psicologo dell’AD non può diventare colui che definisce le linee strategiche aziendali. Tutti vogliono fare bella figura con il fondatore ma il punto è superare questo modello e arrivare a responsabili capaci di decidere in autonomia, alla valutazione di numeri e strategie, alla comunicazione e gestione dei team.
Il problema è squisitamente italiano?
No, ma la tematica qui è molto sentita. Fuori, in Germania, negli Usa, spesso le aziende superano la piccola dimensione con aggregazioni, trovano un modo per valutare e affrontare i rischi, l’Italia per storia, morfologia, cultura è un paese agricolo artigianale rimasto un po’ spezzettato. Mi sono avvicinato al mondo universitario per capire come fosse affrontato il tema del Familiy Business e ho notato che nonostante se ne parli come ossatura del tessuto produttivo italiano, raramente vengono analizzate le sue specifiche criticità.
Cosa è cambiato, davvero, rispetto al passato?
L’imprenditore è cresciuto con il modello vincente, tayloristico, efficientista, basato su “soldato stanco posa lo zaino, soldato fresco prendi lo zaino”. Ebbene, è cambiato tutto, il “soldato fresco” non c’è più. Si tratta di mettere tutti a bordo, di gestire la squadra per focalizzare progetti che non abbiano come unico obiettivo il profitto. Ricchezza e povertà si associano alla possibilità di riuscita, alla sostenibilità, anche sociale. Negli anni l’aspetto tecnico ha lasciato il posto a quello relazionale. Favorire la prosperità di un’azienda significa intervenire in vari ambiti, consigliare holding, trust, cessione delle quote oltre che gestire problemi interni come, appunto, i passaggi generazionali.
Copiare i più bravi ha ancora senso?
No, le aziende devono avere energia per gestire il cambiamento, oggi velocissimo, imparare con quale linguaggio esprimersi, avere chiari mercato di riferimento e strategia. Mi occupo di imprese familiari da quando ho aperto lo studio, da più di 20 anni. La logica non è solo di aiuto tecnico ma di supporto a una consapevolezza nuova.