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Il mistero di Caravaggio, attraverso il ritratto di un futuro Papa

Il mistero di Caravaggio, attraverso il ritratto di un futuro Papa

Si parla tantissimo del Caravaggio ospitato negli spazi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica: nella fattispecie, del Ritratto di Monsignor Maffeo Barberini, futuro Papa. Illuminato dal fascio di luce che delinea uno spazio nudo, essenziale, capace di svelare in pochi tratti lo stato d’animo e la personalità del protagonista.

Storici e appassionati studiosi del Merisi hanno dibattuto a lungo sull’opera: pare sia stato Giuliano Briganti a scoprire e attribuire il Ritratto a Caravaggio. Roberto Longhi, che dedicò all’opera una lunga trattazione sulla sua rivista Il Paragone, espresse la sua idea che l’opera -rinvenuta senza documentazione- fosse stata secoli nella collezione dei Barberini prima di entrare in una raccolta privata, probabilmente prima della dispersione avvenuta negli anni Trenta.

Rarissimi, sono i ritratti del periodo romano e per la quasi totalità sono andati perduti o distrutti. 

Qui, Maffeo Barberini appare monumentale, ma non retorico. 

Il monsignore, nei suoi trent’anni, indossa una berretta e un abito talare nei toni del verde, sopra una veste bianca plissettata. Il braccio sinistro è poggiato al bracciolo della sedia e con la mano stringe una lettera piegata, mentre in primo piano, evidenziato dalla luce, è appoggiato alla poltrona un rotolo di documenti.

La testa con lo sguardo impaziente, la bocca socchiusa e il gesto quasi improvviso che compie con la mano destra, che buca lo spazio, raccontano una personalità dinamica, suggerendo che stia dando un ordine a qualcuno fuori dalla scena.

La cifra espressiva del Merisi è in molteplici elementi: il modo di impostare la figura in diagonale rispetto al fondo, i contrasti di chiaro e scuro, il disegno delle mani arrotondate, la luminosità dell’epidermide e la tecnica di costruzione degli occhi sui quali è applicata una pennellata di biacca che dà intensità allo sguardo, oltre che la sperimentazione cromatica. 

L’opera, riemersa nel 1963, ha gettato in subbuglio la critica, che alla fine la ha accolta in modo unanime: personaggi come Mia Cinotti, autrice di una delle monografie caravaggesche più complete nel 1983, dopo un approfondito esame dell’opera resa possibile dalla disponibilità del proprietario, la aveva inserita nel catalogo del Merisi.

Proprio perché questa esposizione rappresenta un fatto eccezionale, abbiamo fatto qualche domanda a Francesco Gallo Mazzeo, critico e docente di Storia dell’Arte.

Caravaggio svela la verità delle cose: nel caso di Maffeo Barberini, cosa vedi da esperto?

La verità dell’arte è nell’arte, non nella sua pedagogia o descrittività. Cogliere le sfumature, questo sì, affidare all’immobilità ritrattistica, la dinamica delle emozioni, della felicità, della tristezza, dell’intelligenza.

Una alchimia dal molteplice all’unum: Maffeo Barberini è diventato un’opera di luce, una espressione della sua intelligenza, della sua forza personalità, da futuro Papa.

Vedo una penetrante capacità retrospettiva, capace di leggere il delebile e il fuggevole perché spesso l’occhio comune non sa penetrare le trasparenze della profondità.

Roberto Longhi  dice che il Merisi fu il primo pittore dell’età moderna, che si è sforzato di essere naturale, umano più che umanistico, ma soprattutto popolare. Perché?

Nella raffinata e penetrante scrittura di Longhi, emerge, in Caravaggio, un attento studio del vero, che è psicologico, quindi non della verità oggettiva, che è sfuggente e invisibile; un impiego maieutico della luce che squarcia le tenebre e arriva improvvisa, tagliente, senza mezze tonalità, quindi un fatto totalmente compositivo, fondato dal suo genio.

Crudezza, immediatezza, inesorabilità di un vero più vero del vero

Umanistico, petrarchesco, vuol dire letterario, scenografico, teatrale, commediante. Umano, caravaggesco, sta per sudato,  spaventato, immediato, senza trucco, intriso di eroico furore. 
Ma tutta la sua pittura è una “scena” rappresentativa, terribile, dotata di un suo fantasma mentale e di un suo apparire. Popolare, forse,… ma per una immediatezza più apparente che reale. 
Rappresenta una modificazione dell’immaginario, fatto poetico che diventa tecnico, ma rimane immateriale, metaforico.

Ci sono delle curiosità del Merisi che il pubblico non conosce?

Curiosità? Tutto di lui è misterioso, la vita e la morte: di lui possiamo dire, rifiuto per la bellezza idealizzata, tensione assoluta al dramma, alla tragedia, attrazione di un realismo ad alta definizione, quindi spettacolare. 

L’inquietudine delle sue opere, penetrò nella sua mente offuscando la sua vita, facendola diventare psicotica, mentre nevrotica e irascibile era sempre sta. Così lo trovò la morte, tra fuga e delirio. 

Tra verità e leggenda tutta la sua vita è stata una finzione scenica, sua interpretazione della vita con la stessa forza e palpabilità che poi lo accompagna in tutta la sua opera. Opera come vita. Vita come opera.

Quali erano le prerogative dei ritratti a persone nobili, altolocate in quel tempo? Caravaggio usa un suo stile? Devia dalla consuetudine?

Caravaggio è stilistico per definizione, come lo sono tutti i capiscuola (e come lo sarà Guido Reni, che offuscò per un certo periodo la sua fama e fino all’ottocento, tanto che venne  chiamato il divino, e poi non più). 

I ritratti erano fatti solo a nobili e altolocati, per gli altri non c’era scampo nel rimanere fuori da ogni rappresentazione, a meno che non si dovesse istoriare una folla o fornire la propria immagine a comparsa, ma senza alcune gloria e personalità, a rappresentare il comune senso oltraggioso del nulla. 

Ai grandi committenti ritratti, si assicurava una visibilità magniloquente, ricca di particolari, in genere proporzionali alla vantaggiosità del contratto economico e della sudditanza mentale. 

All’osservazione, se Caravaggio si devia dalla consuetudine, la risposta è complessa, perché, con lui inizia una nuova era, come era accaduto, per la Gioconda di Leonardo o per il Ritratto d’uomo di Antonello. 

Apre alla modernità? Forse! Quello che è certo è che passa dalla simbolicità, alla maschera tragica del volto.

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Monica Camozzi

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