I grandi temi emersi all’evento di Confindustria Cisambiente
«Cosa direi ai giovani? Lasciate il telefono e venite in azienda. Vi invito a vedere, a toccare con mano, a sperimentare». Così Donato Notarangelo, neo presidente di Confindustria Cisambiente, sollecitato da Nicola Porro a produrre una frase da tweet durante l’evento “In un mondo di plastica, facciamo la differenza”, a margine dell’Assemblea Generale svoltasi ieri a Roma.
Non a caso il simbolo era un’opera di Maurizio Rapiti che mostra Atlante nell’atto di portarsi sulle spalle in mondo buttandolo nella differenziata. E non a caso, Notarangelo ha parlato in primis di plastica, evidenziando qualche vantaggio ambientale della grande reietta, la plastica, ormai identificata dall’ideologia dominante come danno assoluto.
«La plastica è un materiale come tanti altri e numerosi studi di LCA (Life Cycle Assessment) mostrano la sua minore incidenza ambientale per emissione di CO2 durante la produzione e minor consumo di energia – ha detto il giovane presidente – Certo, bisogna evitare che finisca negli oceani. Il problema è incentivare il riciclo come elemento di circolarità. Evidenzio inoltre che le 8mila tonnellate sversate negli oceani non sono nostre, bensì di Tailandia, Cina, Vietnam e che gli estremismi ideologici tendono a considerare solo una parte della realtà».
Alla grande condannata, la plastica, sono state dedicate parole di comprensione anche da Giovanni
Sale, vice presidente del gruppo Maire: «l’Italia ha fatto la storia dei materiali e chi ha studiato chimica organica conosce il valore della plastica. Sbagliato è considerarla rifiuto, perché non lo è. Per noi si tratta di carbonio e idrogeno, di assemblaggio molecolare che può essere smontato e ricostruito. Abbiamo le tecnologie, le esportiamo, da sempre, le nostre radici sono nel gruppo Montedison e la plastica è un po’ nel nostro DNA.
Possiamo trasformare i materiali, abbiamo appena chiuso una commessa importante con gli USA proprio nell’ambito dei nuovi combustibili tratti da rifiuti solidi urbani. Quello che deve esserci è la sostenibilità economica, spesso difficile se in medio oriente pagano l’energia 2 laddove qui paghiamo 100».
Non solo fare norme, ma produrre una crescita: il problema Europa
Una cosa è emersa chiaramente: l’eccellenza italiana nel settore della trasformazione dei cosiddetti rifiuti (che rifiuti non sono, bensì materia ricomponibile come insegna Lavoisier).
Dalle “zuppette di plastiche miste” come ama chiamarle Giuseppe Dalena che produce CSS, Combustibili Solidi Secondari dai rifiuti secchi al riciclo organico fatto da BioRepack, primo consorzio al mondo in raccolta dell’umido e in produzione di bio plastiche, fino al 98,4% di riciclo degli pneumatici di Greentire.
Lo stesso presidente, Notarangelo, con la sua Greenoil, rigenera gli oli vegetali esausti. Il problema è molto spesso politico, di interferenza dei grandi speculatori finanziari nell’acquisto di CO2, fino alla paranoia normativa del contesto europeo
Chiarissimo, Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e di Duferco Italia Holding: «l’ossessione dell’Europa dovrebbe essere la crescita, se vogliamo contrastare il declino. Ma non vedo alcuna riflessione programmatica. La mia previsione è che cambierà poco perché il mainstream europeo è tecnocratico, pensa solo a fare norme perché non può fare politiche industriali».
Altro tema affrontato da Gozzi è quello dell’estremismo ambientale: «Il green deal econologico è di un estremismo quasi religioso, al punto che persino il leader laburista Starmer ha rovesciato la questione ideologica. Purtroppo l’Inghilterra è fuori dall’Europa, sarebbe stato prezioso averla in questo contesto europeo mercatista e globalista, dove tutto si può comprare poiché quello è interesse dei paesi nordici privi di industria. Siamo inoltre preda di un altro tipo di estremismo, quello finanziario. Io devo comprare quote di CO2 per fare andare i forni e mi sono esposto agli attacchi dei grandi fondi speculativi».
Gli obblighi di efficientamento e la grande sfida dell’acqua
Maria Siclari di Ispra evidenzia gli obblighi entro il 2025: nella fattispecie, per la plastica sarà il 50% entro il 2025 e il 55% entro il 2030. Inoltre entro il 2030 gli Stati Mebri dovranno garantire la raccolta differenziata del 90% di bottiglie in plastica monouso.
Ma c’è plastica e plastica. Come dice Marco Versari di Biorepack, «usciamo dalla logica di buttare le plastiche compostabili, ci aiutano a raccogliere bene la frazione organica». . E anche qui emerge un altro primato italiano, la capsula del caffè, che nasce perché l’Italia è eccellente nella raccolta dell’umido e « le grandi marche possono pubblicizzare la bontà del prodotto come evoluzione dell’imballaggio. Non c’è solo il riciclo chimico e meccanico, esiste anche quello organico in cui l’Italia è leader».
Emerge quindi una capacità tecnologica e innovativa del nostro paese, inspiegabilmente sottodimensionata, come fa notare Luca Dal Fabbro, presidente esecutivo del gruppo Iren, citando «operazioni dove si svendono grandi gruppi italiani a favore ad esempio di quelli francesi».
L’ottica secondo Dal Fabbro deve essere di insieme, procedendo nella strategia di politica industriale che miri a “creare campioni europei” e comprendere quali siano gli interessi strategici anche in senso geopolitico.
Anche qui, l’Italia è il secondo paese produttore di energia idraulica in Europa, abbiamo centrali che Dal Fabbro definisce “preziose”. Ma a sviluppare uno dei nostri più grandi bacini c’è un’azienda cinese.
«Serve un piano Marshall sull’acqua, abbiamo bisogno di almeno 50 bacini che produrrebbero ricchezza e risolverebbero il problema idro geologico. La stessa Pianura Padana, se non raccoglie l’acqua, avrà grandi problemi di siccità nei prossimi anni».
Anche qui, si aggira lo spettro della grande finanza internazionale.
«Dobbiamo evitare che l’acqua diventi un bene finanziarizzato perché i bacini idrici sono un bene collettivo e l’acqua va difesa con le unghie e con i denti, non venduta a fondi».