Privacy e minori. Un argomento tanto importante quanto attuale che ha visto l’organizzazione nei giorni scorsi in quel di Roma, presso la Camera dei Deputati dell’evento “Minori e privacy online: verso un nuovo quadro legislativo per lo sharenting“. Organizzato da Privacy Week, progetto che si è posto lo scopo di educare e informare sugli impatti che la digitalizzazione avrà sulla quotidianità e sulla privacy di tutti e da BSD Legal, giovane studio legale che incorpora la tecnologia all’interno del suo operato, l’evento aveva l’obiettivo di facilitare il dialogo sul nuovo quadro legislativo legato all’accesso alle piattaforme online dei minori tra i firmatari delle leggi in esame in Parlamento e gli esperti del settore.
I relatori hanno avuto l’opportunità di approfondire i ddl ed è emerso che questa è una di quelle tematiche, come già avvenuto per il bullismo, che unisce tutte le forze politiche. Le proposte di legge (al momento 7) non sono tutte uniformi, ma potrebbero forse essere considerate complementari, e dalla loro analisi emerge che i temi più critici su cui è bene soffermarsi sono tre. Grande assente invece nelle varie normative la sensibilizzazione di quelli che devono essere considerati un punto cardine di queste normative: i genitori.
Età minima di accesso
Oggetto di grande attenzione è l’età minima per accedere alle piattaforme on line. Come è emerso in alcune proposte di legge si punta addirittura ad alzare il limite di età per l’accesso alle piattaforme. Oggi il GDPR e il D.Lgs 196/2003, come riformato, ci dicono che i minori possono accedere ai servizi on line a partire da anni 14. Ma in molti ritengono che vada alzato. Nella proposta Richetti, per esempio, si richiedono tutele per i minori che accedono ai servizi online, innalzando l’età minima per il consenso digitale da 14 a 15 anni. Ma si sta parlando in alcune proposte anche di 16 anni.
Il tema dell’age verification sulle piattaforme è soprattutto richiesta per evitare che i ragazzini si iscrivano autonomamente e aprano canali personali o usufruiscano di servizi di comunicazione elettronica che comportano maggiori rischi per la salute fisica e mentale, nonché per la sicurezza e l’incolumità dei minori e il cui accesso può essere regolato in base all’età. Una tematica, quella dell’età minima, che porta con sé il tema del controllo parentale e della verifica da parte delle piattaforme sull’età degli utenti e sul relativo consenso genitoriale con le connesse sanzioni.
Baby influencer
Altro topic molto dibattuto è stato quello dell’obbligo di sottoporre a tutela i guadagni dei baby influencer. In questo caso, 3 su 4 proposte (Sportiello, Bonelli e Madia) prevedono che i proventi derivanti all’attività sui social dei minori siano depositati in un conto corrente bloccato sino al raggiungimento di una soglia di età minima variabile (per esempio maggiore età). Un punto importante, ad oggi non disciplinato in Italia ma presente invece nella normativa francese e teso ad evitare che i genitori si arricchiscano sfruttando eccessivamente l’immagine dei figli. Nel nostro paese esiste purtroppo solo una legge – n. 977 – 17 ottobre 1967, – che norma l’impiego lavorativo del minore di anni quattordici per la realizzazione di programmi radiotelevisivi ma non basta.
La maggior parte dei progetti di legge in questione prevede poi di chiedere ad autorità, che siano AGCOM o Garante Infanzia o Garante Privacy, una autorizzazione specifica per poter utilizzare i bambini nelle attività on line. Certo, qualche commentatore, vorrebbe addirittura un divieto assoluto per questo genere di utilizzi, ma già questa regola presente in quasi tutte le proposte, è un enorme passo avanti rispetto al far west attuale.
Lo sharenting
Dal convegno è emerso chiaramente che sono proprio i genitori i protagonisti dell’aspetto più problematico. Le norme in esame prevedono infatti forti tutele per il minore soggetto di contenuti dal carattere commerciale, lasciando invece al buonsenso dei genitori le decisioni relative ai contenuti non commerciali. Il fatto di inserire una norma, ad oggi mancante, che prevede un doppio assenso aiuterebbe certamente. Il principio è rinvenibile in 3 delle 4 proposte in esame. Inoltre, in diverse proposte si prevede la possibilità per i minori, al compimento dei 14 anni, di esercitare il diritto all’oblio digitale. Un diritto lecito ma purtroppo non si può negare che quando una foto è online farne scomparire le tracce è molto complicato.
Urge evidenziare che questa impostazione – lasciare al buonsenso dei genitori la condivisione di foto non commerciali – si basa sul presupposto che i genitori siano tendenzialmente consapevoli e che agiscano sempre per il bene del bambino. Nel confronto tra le parti è emerso però che spesso il buonsenso dei genitori non è tale da garantirne la tutela. Lo dicono anche i dati. Secondo un rapporto dell’European Pediatrics Association, ogni anno i genitori condividono online una media di 300 foto riguardanti i propri figli e prima del quinto compleanno ne hanno già condivise quasi 1.000.
Negli Stati Uniti, il 34% dei genitori pubblica abitualmente ecografie online, percentuale che in Italia si attesta al 15%. Basti poi ricordare che quasi il 50% delle foto presenti sui canali utilizzati dai pedofili, sono foto apparentemente innocue pubblicate dai genitori, in contesti spesso di vita quotidiana e non riferite a progetti commerciali. Quindi è emerso che non solo si ha bisogno una normativa che disciplini adeguatamente il fenomeno dello sharenting attraverso chiari divieti che colpiscano i genitori, ma serve in primis è necessario fare cultura su queste tematiche, troppo spesso sottovalutate.
«Quello di cui discutiamo oggi è un argomento delicato perché riguarda il coinvolgimento dei soggetti più vulnerabili della nostra società: i minori. Emerge una mancanza di consapevolezza da parte dei genitori, oltre che la necessità di una normativa a tutela dei minori dagli abusi della propria immagine. Credo che un profilo che debba essere valorizzato è il ruolo del Garante per la protezione dei dati personali, perché già ad oggi, a legislazione vigente, ha delle specifiche competenze in materia di cyberbullismo e revenge porn che potrebbero estendersi al fenomeno dello sharenting.
Sono state introdotte delle misure cautelari, ovvero la possibilità di richiedere la rimozione o il blocco, in tempi rapidi, di contenuti che possono essere lesivi della dignità del minore. In questi casi l’intervento immediato spesso è risolutivo e potrebbe essere un correttivo a questi progetti di legge che meritano sicuramente un plauso della nostra Autorità», ha dichiarato Ginevra Cerrina Feroni, Vicepresidente del Garante per la Protezione dei Dati Personali.
«Il dibattito di oggi è stato un momento di confronto molto alto. Le proposte di legge sono tutte molto interessanti ed è molto importante che il tema della presenza sui social dei minori sia caro a tutte le parti politiche.” – ha concluso Diego Dimalta, Fouder della Privacy Week e di BSD Legal – “Tutte le proposte esaminate sono molto interessanti, ma credo che ogni sforzo sarà vano se non si agisce limitando il potere dei genitori anche sui contenuti non commerciali e, soprattutto, facendo tanta sensibilizzazione sul tema. Serve a poco implementare in modo più rigido l’obbligo di age verification se poi i genitori esibiscono i figli per avere i like o entrate interessanti.
Il prossimo passo deve necessariamente essere la programmazione di campagne di sensibilizzazione di adulti e minori, magari affidate alle scuole unico contact point obbligatorio per tutti i soggetti coinvolti nello sharenting».