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Pmi della moda. Gioie e dolori

Un numero di 600.000 occupati che fa schizzare l’Italia  al primo  posto in Europa nel settore (e che quindi meriterebbe tutela massima a livello istituzionale).

108,2 miliardi di fatturato, 80,5 miliardi di export, di cui “le griffe coprono il 16% circa. Tutto il resto è realizzato dalle piccole medie imprese”.

Francesco Casile, titolare di una delle showroom di moda storiche in Milano e fondatore di Camera Showroom Milano, fresco di Ambrogino d’Oro, ha raccolto meticolosamente i dati aggiornati a  maggio 2024, evidenziando che la sola Milano per indotto e showroom mette a segno “360 milioni di euro”.

Ma nessuno sta pensando alle pmi, che sostanziano gran parte dell’indotto. “Stiamo parlando del 98,1% del settore, che sta vivendo una grossa confusione. I negozi, che secondo i miei dati sono 114.813, fatturano complessivamente 52,4 miliardi. Ma sempre più spesso le showroom fanno vendite dirette, i grossi gruppi anche, il prossimo anno ci sarà addirittura una fiera aperta al pubblico per vendere moda”.

Attualmente, i grossi brand rimasti italiani sono pochi. L’Italia è ancora il paese dove si viene a produrre il lusso ma emerge chiaramente la prevalenza di pmi a supporto dell’intera rete del sistema. 

Abbiamo 56 attori ai tavoli governativi. Ma alla fine si conclude poco, abbiamo fatto un accordo con Abi per rinegoziare i finanziamenti ricevuti con Sace. Noi, ad esempio, avevamo chiesto aiuti per fare arrivare i clienti esteri, detrazione dei contributi per gli stagisti e un supporto per le fiere”.

Circa un mese fa gli imprenditori di SMI e Confindustria Accessori Moda, avevano firmato insieme una lettera su un grande quotidiano nazionale, poiché all’orizzonte si prospettava lo spauracchio di dover restituire i soldi ricevuti per i campionari come credito di imposta per il periodo 2015-2019. 

Un’azione che avrebbe costretto le piccole imprese a lasciare a casa  i dipendenti, avviluppandole in un debito non sostenibile. Il provvedimento dovrebbe essere   rientrato (anche se non c’è ancora il documento attuativo, ndr)”. 

Lo stesso Carlo Capasa, presidente di Camera Moda Italiana, ha accennato alla situazione delle Pmi:  “non dobbiamo dimenticare che le aziende, in questo momento storico, sono costrette a operare in una fase di incertezza che rischia di apportare nefasti effetti sui bilanci aziendali”.

I buyer si organizzano a livello mondiale

Si alza la doglianza anche di Maura Basili, appassionatamente alla guida di Camera Buyer e instancabile promotrice di un dialogo con le istituzioni.

I multimarca sono stati artefici del successo di tante griffe, le stesse che ora decidono di puntare esclusivamente sulle loro reti vendita. In questo momento viviamo una crisi di mercato e di fatturati, complice il cambiamento della situazione in Cina, fino a qualche tempo fa partner eccellente”. 

Ma i buyer italiani non si arrendono: per questo è nata Camera Fashion Retail “con questa iniziativa espandiamo l’associazione oltre i confini italiani, dialogando con i colleghi Europei e sparsi nel mondo. Le proiezioni ci dicono che il mercato vedrà presto una nuova impennata”. Anche se il concetto stesso di lusso è cambiato, stemperandosi in una fluidità che annovera prodotti raggiungibili dal pubblico di massa. 

Come rimarca il filosofo e sociologo Gilles Lipovetsky, “il concetto di lusso accessibile non è un falso ideologico, è reale. Siamo entrati in un lusso plurale, non più appannaggio delle sole élite. C’è sempre la punta della piramide, con jet privati, yacht, pietre preziose; c’è uno spazio intermedio che è quello dei grandi brand e infine il nuovo lusso accessibile, attraverso comparti come la cosmesi. Un rossetto di Chanel è sempre lusso, ma accessibile.  La parola chiave è reinventarsi”.

Un ottimo suggerimento arriva da Attila Kiss di Gruppo Florence: “la somma dei singoli è sempre meno dell’insieme che procede compatto. Vale per le pmi, potrebbe valere anche per i buyer”.

Piccolo è bello? Per lo stile, non per i mercati. La soluzione del gruppo Florence

Immaginiamo un gruppo che per governance compra il 100% delle pmi a gestione familiare, mantiene attivi gli imprenditori e fa sì che acquistino una piccola percentuale delle quote. E abbiamo l’identikit del gruppo Florence, primo polo industriale integrato: attualmente 40 aziende inglobate, 5.000 dipendenti all’attivo e un duplice binario: da un lato il mantenimento delle prerogative stilistiche e creative, dall’altro la compattezza della dimensione sui fronti in cui serve. 

Ambiti come la formazione, la digitalizzazione, la sostenibilità, possono essere meglio gestiti in maniera centralizzata -spiega Attila Kiss, Ceo di Gruppo Florence, ungherese laureato al Politecnico di Milano e da 41 anni naturalizzato italiano-  mentre quando si tratta del prodotto e delle specificità creative, prevale il team locale,  con l’esperienza che si tramanda da generazioni. Ogni brand ha la sua visione artistica. Noi facciamo innovazione tecnica, mettiamo insieme i know how e spesso diamo supporto ai brand anche in fase creativa, incrociando le competenze”.

Insomma, il modello di business qui è decisamente win win: “le imprese continuano a gestire l’azienda d’origine, mentre lavoriamo sulle seconde generazioni valorizzando  lo spirito locale e familiare. Ogni impresa possiede un piccolo pezzo della holding. Gruppo Florence preserva i vantaggi della specificità, portando valore laddove la piccola dimensione non aiuta”. E qui, la parola lusso torna a rivestire una valenza di pregio, di intangibile che dura nel tempo e si oppone alla moda fast, velocemente deperibile e poco sostenibile. Unirsi avvantaggia anche la responsabilità sociale. 

Le richieste di CMNI al Governo

Anche Camera Moda ha presentato al Governo le proprie istanze per la legge di Bilancio in fase di approvazione. 

Fra le richieste, il passaggio generazionale delle competenze – con un regime fiscale agevolato per il pensionato che assume il ruolo di “formatore”; il potenziamento del welfare per diminuire il carico fiscale e contributivo (Nello specifico, Cnmi propone per il periodo d’imposta 2025 l’innalzamento e la stabilizzazione delle soglie dei fringe benefit a 4mila e 3mila euro rispettivamente per i dipendenti con e senza figli).

Poi, arriva la la proposta di una certificazione per il controllo della catena produttiva delle aziende fashion: “bisogna far fronte alla problematica relativa al trattamento del personale ed alle condizioni degli stabilimenti di imprese che lavorano conto terzi, alle quali vengono appaltate alcune delle attività di produzione e che, proprio per tale problematica, in questi mesi, sono finiti nel mirino delle procure”.

Sempre necessario, un potenziamento della Cassa Integrazione Ordinaria, finalizzata al sostegno delle aziende più piccole. Viene caldeggiato inoltre un fondo per la diffusione internazionale dei valori e dell’immagine della moda mediante contribuzione diretta a Camera Nazionale della Moda Italiana. 

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