Agroalimentare: una corazzata a prova di dazi
Un dato, sulla miriade di numeri diffusi da TEHA Group – The European House Ambrosetti in merito al comparto agroalimentare italico, colpisce in modo particolare: l’Italia batte tutti i competitor europei per valore medio delle esportazioni. Con 254,5 euro ogni 100 kg l’Italia “brucia” Spagna, Paesi Bassi, Germania, Francia, mostrando una preponderanza della qualità.
La ricerca Teha, presentata da Valerio De Molli, managing partner e CEO The European House Ambrosetti e Teha Group in anticipazione dei dati che verranno ampiamente svelati e dibattuti al Forum Food and Beverage previsto il 6 e 7 giugno a Bormio, conferma che la filiera agroalimentare, vino e bevande inclusi, è un reale asset strategico a prova di dazi, prima per valore aggiunto sulle prime dieci filiere dei comparti manifatturieri, capace di generare il 19,8% del PIL e con un export che accelera in maniera decisa dal 2010 a oggi.
Specifichiamo cosa si intende per “agroalimentare”: Insieme, agricoltura, food and beverage totalizzano un valore record di 67,5 miliardi di euro esportati nel 2024 su un fatturato di 262,7, un tasso di investimenti pari a 17 miliardi, oltre un milione di imprese e 3,4 milioni di occupati. Addirittura, se il cosiddetto Italian Sounding -ergo i prodotti che suonano come italiani e non lo sono- venisse smantellato e normalizzato, aggiungeremmo altri 126 miliardi di euro.
Una corazzata imbattibile.
Il termine “agroalimentare” comprende 30 macro filiere a monte e a valle: coltivazioni, allevamenti, industrie, ma altresì trasporti, imballaggi, strutture ricettive, ristorazione e catering. Una piramide la cui punta si esprime nella percezione straordinaria dell’eccellenza italiana all’estero: l’Italia è la prima destinazione enogastronomica, con il 29,3% dei turisti stranieri che converge qui anche per mangiare e bere.
Naturalmente, siamo il primo paese al mondo per presenza di ristoranti nazionali nelle principali metropoli.

Perché la tenuta del settore è a prova di dazi?
Le riflessioni di Valerio De Molli sono molto interessanti. Sfatiamo subito il dubbio che non vi sia preoccupazione per la situazione nel suo complesso: “il vero danno è l’incertezza, la confusione generata da repentini cambiamenti. Ma se parliamo dell’impatto effettivo dei dazi sull’agroalimentare italiano, posso dire che la anaelasticità italiana è altissima”. Cosa significa? Vuol dire che la sostituibilità dei prodotti nella gran parte dei casi non è possibile: l’Italia è il primo Paese in Europa per bassa sostituibilità dei prodotti commerciali. Perciò, anche se gli USA rappresentano il secondo mercato per l’agroalimentare italiano, con quasi 8 miliardi di euro in valore nel 2024, con un 17% di crescita, lo spauracchio dazi spaventa relativamente.
“Lo scenario di aumento è stato tracciato su un dazio generalizzato del 20%, considerando l’elasticità della domanda e la riduzione di marginalità delle imprese (che assorbono il 25% del dazio), al fine di quantificare il potenziale danno. La perdita potenziale è pari a 1,3 miliardi, considerato che il 25% del danno verrebbe assorbito dalle imprese. Ma la bassa sostituibilità del prodotto italiano (anaelasticità) copre il 77% dell’offerta, con un valore a rischio di 300 milioni. Possiamo riposizionarlo in altri Paesi”.
Più che agli 8 miliardi verso gli USA, l’attenzione è rivolta a quei 234 miliardi di consumo interno stagnanti per la stasi degli stipendi medi e per la perdita del potere d’acquisto delle famiglie, che genera una polarizzazione dei consumi legata alle fasce di reddito.

Il monopolio di pelati, l’impennata della bresaola (e la supremazia del vino)
Nella bilancia degli scambi mondiali di agroalimentare, la pasta italiana si conquista il 48%: questo rende il nostro paese il primo esportatore e produttore di pasta. Anche il suo elemento complementare, la passata di pomodoro, ha un tasso di export da primato (24%). Sul fronte del vino, l’Italia è il secondo esportatore mondiale, con una quota del 20,7%.
Se si considera il settore agroalimentare nazionale, il vino resta il prodotto più esportato, superando per la prima volta gli 8 miliardi di euro.
La bresaola vive un momento di grande affermazione, 11esimo prodotto per valore in Italia, con una quota di mercato globale del 29,1% e un dominio incontrastato del prodotto IGP Valtellinese. Olio e caffè totalizzano rispettivamente un 17,4% e un 15,8% nella quota di mercato mondiale, mentre amari e distillati sono decisamente in pole position (34,5%).
La Regione italiana prima per fatturato nel comparto agroalimentare risulta essere la Lombardia, terza fra l’altro per valore delle produzioni certificate con 75 DOP e IGP regionali. Anche in questo ambito, il nostro Paese ha un primato europeo, con 891 denominazioni (563 legate alla produzione vitivinicola).
Un paio di paragoni sono efficaci nel far comprendere il fenomeno agroalimentare italiano: il settore vale 3 volte l’automotive di Francia e Spagna e 2 volte la somma della farmaceutica di Francia e Germania.
