Un’azienda che vuole essere riconosciuta e che vuole aumentare il valore percepito ha bisogno di definire una strategia di posizionamento che va costruita in modo scientifico.
Oggi questo si può fare con l’aiuto delle neuroscienze, la definizione esatta è Neuropositioning, inteso come collocazione strategica di un marchio nella memoria del pubblico, per stabilire e rafforzare le associazioni mentali desiderate attraverso le esperienze passate e le aspettative future dei consumatori.
Tradizionalmente, il brand positioning si è sempre basato su big data, analytics e ricerche di mercato classiche. Questi strumenti, per quanto preziosi, spesso non riescono a fornire una visione completa della percezione del brand da parte del target: il successo di un brand, infatti, dipende anche dalla capacità di connettersi emotivamente e cognitivamente con i consumatori.
È qui che si fa largo il concetto di Neuropositioning.
«Grazie alla nostra esperienza nel marketing e allo studio e applicazione delle neuroscienze – racconta Elena Sabattini, AD dell’agenzia di comunicazione Tecnostudi – abbiamo rilevato come la strategia di posizionamento del brand possa essere costruita su basi scientifiche. Ovvero, attraverso le strumentazioni biometriche (EEG, Eye Tracker, etc.) si evince come è percepito il brand dal consumatore e quali sono le sue aspettative. Risultato che spesso si discosta da ciò che dichiara esplicitamente. La scienza dice che gli insight che emergono dalle strumentazioni risultano più attendibili».
Definire una strategia di posizionamento significa identificare e comunicare con chiarezza i benefici che risuonano più profondamente con il pubblico, sia a livello razionale che emotivo, lungo ogni fase del loro percorso di acquisto. Questo processo, integrato dall’esercizio del Neuromarketing, rappresenta un salto evolutivo nell’arte del branding.
Il processo del Neuropositioning
«Questo approccio porta alla creazione di una nuova Brand Identity scientificamente costruita e garantisce – continua Sabattini – la capacità di formulare previsioni più precise riguardo all’efficacia e alle modalità di una determinata comunicazione una volta lanciata. Possiamo identificare tre fasi in cui si sviluppa questo processo; la prima è data dagli Obiettivi: Lo step iniziale in cui, con la collaborazione del cliente, si stabiliscono obiettivi chiari e misurabili considerando anche gli impatti emotivi degli approcci che guideranno il piano marketing.
Al secondo posto troviamo l’analisi del brand.
Dopo aver delineato il contesto del brand, si procede a valutare la percezione attuale del marchio, sia all’interno che all’esterno dell’azienda, attraverso strumenti di analisi delle associazioni implicite come l’Implicit Reaction Time Tests (IRTs), che permettono di identificare gli attributi e i valori che il target di riferimento associa al brand – prosegue la Ceo – L’IRTs sono dei test che misurano la forza delle associazioni mentali più o meno consapevoli attraverso l’analisi dei tempi di risposta. Le misure implicite catturano le motivazioni, le credenze e gli atteggiamenti reali ma inespressi delle persone.
Contestualmente, si svolgono indagini qualitative e quantitative per convalidare l’immagine emergente del brand e ottenere una visione completa della sua posizione sul mercato rispetto ai concorrenti: la combinazione di big data e small data è essenziale per sviluppare un posizionamento di marca che rispecchi realmente la percezione del pubblico. Questa combinazione, inoltre, permette di identificare e colmare eventuali discrepanze tra il posizionamento attuale e quello desiderato.
Infine il terzo punto riguarda strumenti di comunicazione in linea con i dati delle fasi precedenti Con solide basi strategiche, poi, si passa alla creazione degli strumenti di comunicazione, che verranno testati con tecniche di neuromarketing per garantire un’esperienza di brand coerente e allineata alla strategia, sia online che offline. Il punto di forza risiede nell’uso combinato di diversi strumenti come Eye Tracker, EEG (Elettroencefalografia) e GSR (arousal emozionale) che consentono di esaminare lo stesso fenomeno da prospettive complementari».