Tutte le strade portano al welfare
Mentre le aziende – piccole, medie e grandi – sono fortemente impegnate a seguire le normative europee, emanate a gran velocità, soprattutto in materia di sostenibilità sociale e ambientale, c’è chi osserva che sono le esigenze di mercato a guidare veramente il loro successo. Le normative, sebbene imponenti e difficili da ignorare come un “elefante in una cristalleria”, non sono il fattore determinante.
Fabrizio Negri, amministratore delegato di Cerved Rating Agency, l’agenzia di rating italiana specializzata nella valutazione del merito di credito delle imprese e nella misurazione delle performance ESG, ci fa notare che “i dati ESG sono richiesti dalle banche per la valutazione di un potenziale finanziamento o dal capo filiera per aggiudicare una commessa. L’impronta carbonica e il consumo energetico sono considerati non solo indicatori ambientali, ma anche elementi integrativi del concetto di sostenibilità aziendale, poiché riflettono l’attenzione dell’azienda ai diversi stakeholder inclusa la comunità di riferimento. La spinta alla divulgazione di questi dati, oltre a essere normativa, è fortemente sostenuta dal mercato e dalle istituzioni finanziarie”.

La governance e la necessità di un cambiamento culturale
“La misurazione delle performance di sostenibilità delle Pmi induce a ragionare su possibili mutamenti culturali. Ad esempio, sulla governance: nelle Pmi è raramente previsto un organo collegiale e qualora ci sia, è solitamente espressione della famiglia che possiede e gestisce l’azienda; questo elemento può indurre ad una valutazione negative della componente governance nella più ampia valutazione ESG”.
I minibond? Uno strumento effettivo, comprovato e accessibile
In un mercato del credito dominato dall’offerta bancaria, i mini-bond rappresentano un’ottima opportunità per le PMI in quanto strumento alternativo di finanziamento. Sono titoli di debito tipicamente emessi da piccole e medie imprese per accedere al mercato degli investitori professionali e rappresentano per gli stakeholders un’interessante scelta di investimento.
Secondo l’indagine dedicata al potenziale mercato dei mini-bond delle imprese italiane condotta da Cerved Rating Agency su un cluster di 15mila società non finanziarie, sono 1.133 le realtà che potrebbero emettere fino a 15 miliardi di euro di mini-bond senza indebolire la loro struttura finanziaria. L’indagine indica che il 75% sono nel Nord Italia, con un potenziale di emissione pari a 12,2 miliardi di euro, a seguire il Centro (1,9 miliardi) e il Sud e Isole (1,1 miliardi). Si tratta per l’81% di imprese con un fatturato compreso fra i 50 e i 500 milioni di euro, ma è rilevante (19%) anche la quota di piccole imprese. In maggioranza si tratta di aziende manifatturiere (69%), servizi (11,6%) e commercio (8,5%).
I mini-green-bond: oltre 500 possibili emittenti
La crescente attenzione alla sostenibilità ha avuto effetti tangibili anche su questo mercato, divenuto nel tempo un’importante fonte aggiuntiva non solo per sostenere la competitività delle PMI ma anche per favorirne la transizione verde attraverso l’emissione di mini-green bond. Dall’indagine di Cerved Rating Agency si evince che il mercato “mini-green bond” dedicato a supportare politiche di sostenibilità dovrebbe ammontare a circa 6,6 miliardi di euro.
Queste obbligazioni green sarebbero emesse da 540 possibili emittenti che operano nei settori più coinvolti nella transizione ecologica ed energetica: costruzioni, automotive, attività manifatturiere, fornitura di energia elettrica, gas e acqua, gestione dei rifiuti, trasporto e magazzinaggio, servizi di informazione e comunicazione, attività immobiliari, agricoltura, siderurgia, chimica, plastica e gomma, produzione di macchinari.
A livello geografico, la distribuzione è simile a quella dei mini-bond “tradizionali”: il Nord-ovest vanta 238 imprese e un potenziale di emissione di 3,2 miliardi di euro, seguito dal Nord-est (175 aziende e 2,1 miliardi di euro), dal Centro (71 e 0,8 miliardi) e da Sud e Isole (56 e 0,4 miliardi). Si tratta per il 75,7% di imprese con un fatturato fra i 50 e i 500 milioni di euro, ma è rilevante (24,3%) anche la quota di piccole imprese. Per quanto riguarda i macrosettori, svettano le attività manifatturiere (69,3%) legate alla transizione sostenibile, seguite dalle aziende che operano nel settore delle costruzioni e dell’immobiliare green (11,3%) e dai servizi (10.4%).
“In un mercato del credito dominato dall’offerta bancaria – spiega ancora Fabrizio Negri – i minibond sono un’ottima opportunità, perché offrono alle PMI emittenti uno strumento di finanziamento aggiuntivo o alternativo e agli stakeholders un’interessante scelta di investimento verso le imprese private”. Uno strumento, fra l’altro, valorizzato dalla crescente attenzione alla sostenibilità, in quanto importante fonte aggiuntiva per sostenere la competitività delle Pmi.
Rischio default per le imprese non finanziarie: sale al 6,22%
Il Credit Outlook 2024 di Cerved Rating Agency, pubblicato a marzo 2024, rileva che a dicembre 2023 la probabilità di default delle imprese non finanziarie italiane è salita al 6,22% contro il 5,68% di un anno prima, un valore ben superiore ai livelli pre-Covid (a fine 2019 era al 4,45%). Un trend che potrebbe però stabilizzarsi nel 2024: in uno scenario più favorevole, la probabilità di default scenderebbe al 6,13%, mantenendosi in ogni caso al di sopra del 6%, livello mai raggiunto prima del dicembre 2023. In uno scenario con alcuni elementi peggiorativi rispetto all’attuale situazione economica, la probabilità di default è prevista in ulteriore salita al 6,39%.
“Il trend negativo riscontrato a partire dal periodo pandemico non è ancora stato riassorbito e gli stress macroeconomici sequenziali, causati da tensioni geopolitiche, inasprimento delle condizioni di finanziamento e dinamiche inflattive – commenta Fabrizio Negri – continuano a influenzare il rischio di credito delle imprese italiane.
In particolare, in rialzo dei tassi iniziato nell’estate 2022 ha contribuito al peggioramento della PD e prevediamo che la permanenza prolungata su livelli elevati possa ancora pesare sul merito creditizio. Questo elemento, congiuntamente agli altri fattori, continua a influenzare il rischio di credito delle imprese italiane, che vediamo però in lieve flessione nello scenario più positivo atteso a fine 2024”.
Scende la percentuale di imprese “Investment grade”: forti le differenze di performance legate ai settori merceologici
L’aumento della rischiosità di portafoglio nell’ultimo triennio è evidente dalla variazione della percentuale di soggetti valutati con un rating positivo (Investment Grade) nel campione di oltre 15.000 società di capitali cui Cerved Rating Agency ha assegnato un rating creditizio: si è scesi infatti dal 56,7% di dicembre 2019 al 40,8% di dicembre 2023, invertendo sostanzialmente le proporzioni tra le imprese che si rivelano solide dal punto di vista finanziario e quelle invece più fragili.
Nelle differenti ipotesi di scenario che si profilano, legate a tensioni, mutamenti geopolitici, rischi di stagflazione, tassi di interesse e incertezze legate al PNRR, pesa la differenza legata ai settori merceologici. L’industria farmaceutica e l’ICT hanno alte probabilità di vedere ridotto, anche sensibilmente, il rischio di default, mentre settori manifatturieri come il tessile, l’industria della gomma e della plastica, ma anche l’agricoltura, registrerebbero un ulteriore aumento del rischio di credito.
Lo stesso dicasi per le dimensioni di impresa: le grandi aziende vedrebbero ridursi il rischio di default del 4% mentre le piccole solo dell’1%, a causa della maggior fragilità dal punto di vista finanziario.