Idrogeno: tanti progetti, poco tempo
La sintesi della -potenzialmente magnifica- partita in campo con l’idrogeno, l’ ha tracciata Alberto Dossi, presidente di H2IT (Associazione Italiana Idrogeno): “ Si vince solo se pubblico e privato vanno insieme”.
E mentre i privati espletano ingegneristico acume ed energetica competenza, il pubblico ha un tavolo aperto al MASE con l’ambizioso obiettivo di definire una strategia nazionale entro fine 2024 e cercare di arrivare in tempo alla deadline del giugno 2026, data in cui gli impianti dovranno essere realizzati.
Per chiarire ancora meglio –e velocemente- il quadro attuale, usiamo le parole di Dossi, quando dice che grazie al PNNR abbiamo ora “48 stazioni assegnate per il trasporto su strada, 8 per i treni, 52 Hydrogen Valley in Italia”, sulla carta.
“Il vero problema è mettere a terra questi progetti”, ha proseguito Dossi, esemplificando che solo per avere un elettrolizzatore dal giorno dell’ordine alla consegna passano circa due anni.
L’idrogeno ha ancora costi molto alti e, oltre a incentivare la produzione, va compreso come spingere la domanda. Chi investe deve avere certezza dello scenario complessivo e della competitività di questo gas rispetto ai combustibili fossili.
Idrogeno: lo stato dei fatti
Produrre idrogeno a costi competitivi è l’imperativo. SNAM già partecipa con ENI al Sea Corridor, linea che gestisce il coordinamento delle attività commerciali e tecniche dei due gruppi di gasdotti che collegano Algeria e Italia. Ora si parla di SoutH2 Corridor, destinato a portare idrogeno verde dal Nord Africa sfruttando i metanodotti esistenti.
Anche il Golfo Persico potrebbe essere un’area di approvvigionamento a costo sostenibile: “lìi si produce energia rinnovabile a prezzi ridicoli, circa 1 centesimo al kW ora –commenta Ugo Salerno, presidente di Rina, gruppo che fornisce servizi di verifica certificazione e consulenza ingegneristica.
Al pari, la Hydrogen valley pugliese può sfruttare le rinnovabili a Sud del paese. Più che di Green Hydrogen si dovrebbe parlare di Low Carb Hydrogen, visto che il fotovoltaico –come specifica ancora Salerno, “ha un’impronta carbonica superiore all’eolico o al nucleare. Ogni generazione di energia ha un impatto. Si potrebbe altresì pensare di produrlo usando energia nucleare o trasportandolo con una pipeline dal Golfo Persico al costo di 3 euro al chilo nel 2030. L’attuale media di 15 euro non è compatibile con il progetto di alimentare treni”.
Tanti progetti, poco tempo: la frontiera dell’eolico galleggiante
Su quale energia usare per produrre idrogeno e dove farlo, porta un’ispirazione interessante Ksenia Balanda, direttore generale del partenariato fra Renantis e Blue Float Energy per l’Italia, che ha in programma la produzione di tonnellate di idrogeno pulito grazie ai parchi eolici galleggianti. Ergo, posti al largo dove il vento è più deciso: “al largo abbiamo turbine più grandi, la vita utile degli impianti è più estesa”.
Sul potenziale di questa tecnologia chiarisce le idee il rapporto di The European House Ambrosetti: 200 gigawatt di capacità nel solo Mediterraneo, che pongono l’Italia al terzo posto nel mondo. Renantis e Blue Float stanno sviluppando 6 parchi eolici marini fra Puglia, Calabria e Sardegna: “su due abbiamo già presentato la VIA per un totale di 2,5 Gigawatt. Pensiamo di partire con la produzione nel 2030” chiarisce Balanda. Al pari, nell’area portuale di Taranto esiste già un parco eolico galleggiante, che dovrebbe garantire 10 Gigawatt nel 2030. “La filiera è già nata, possiamo ambire alla sicurezza e all’indipendenza energetica –sottolinea Balanda.
Ma, laddove attori come la Francia e leader globali stanno puntando su questa tecnologia, il Piano Integrato Energia e Clima nazionale del nostro paese la relega al 2% e sono quattro anni che circolano bozze del decreto FER2 destinato a definire le condizioni per operare.
Fonti di energia: il rivale è l’elettrico
Come sottolinea l’ingegnere chimico Giulia Monteleone di Enea, nell’era della decarbonizzazione il concorrente dell’idrogeno è il vettore elettrico, già prodotto da fonti rinnovabili ma adatto in alcune circostanze, non in tutte. “La cottura ceramica non avrebbe lo stesso risultato in un forno elettrico. Per la mobilità sulla lunga percorrenza l’idrogeno sarebbe una buona soluzione”. Perciò bisogna velocizzare le tecnologie, una su tutti gli elettrolizzatori. In Italia abbiamo eccellenze sconosciute come la livornese Erredue, 38 anni di esperienza, che già vende impianti per alimentare camion a idrogeno in Olanda e Danimarca, o ancora per decarbonizzare l’industria ceramica in Italia.
La genovese Rina ha appena vinto un progetto da 80 milioni per costruire la prima acciaieria alimentata a idrogeno, nel sito di Castelromano. Ansaldo si sta impegnando per trasformare le già ottime turbine a gas in “turbo idrogeno”. “Stiamo sviluppando con l’università di Genova una nuova tecnologia per gli elettrolizzatori, che non utilizzi materiali rari (via seguita anche da Erredue con CNR e Università di Pisa) ha specificato Nur El Gawohary “Le competenze di filiera in Italia ci sono, la rete della Power generation esiste già”.
Anche Edison Next si sta cimentando nella sfida, insieme a Iris Ceramica Group, di decarbonizzare la produzione di ceramica usando l’idrogeno: in questo momento si è alla fase della finalizzazione dei contratti, per una partenza entro l’anno.
Tanti progetti e poco tempo: le forche caudine del 2026
Il PNNR ha erogato 3, 6 miliardi per i capex (capitali esecutivi), ma il problema è incentivare la domanda e arrivare in tempo alla scadenza di giugno 2026. “Ci vuole un cambio di passo in termini di sistema per mettere a terra i primi progetti – afferma Gabriele Lucchesi di Edison Next – Siamo preoccupati per le tempistiche, il decreto Opex è bloccato e vanno date certezze a chi investe.
Il MASE ha lanciato una consultazione pubblica, un tavolo di lavoro per definire una strategia nazionale univoca, spunti, proposte operative, con la consapevolezza che i soli contributi per i capex previsti dal PNNR non saranno sufficienti ad abbattere il gap di costo che oggi esiste fra l’idrogeno green e i combustibili tradizionali.
Per questo, l’esecutivo è al lavoro sul decreto che dovrà introdurre incentivi agli opex, le spese operative.
Il Ministro Gilberto Pichetto Fratin auspica che si arrivi all’emanazione del decreto entro la fine del 2024 e che la strategia nazionale sia chiara prima dell’estate.
Poco tempo: una proroga?
Gli operatori auspicano una proroga della data che vede giugno 2026 come scadenza definitiva per attuare i progetti: “i tempi sono sfidanti, vi sono criticità economiche, normative, finanziarie –ha osservato Astrid Kofler di Sasa, società operativa nel trasporto pubblico urbano ed extra urbano della provincia di Bolzano che nella sua flotta vanta già 42 autobus a idrogeno. “Stiamo lavorando con Alperia a una Hydrogen Valley, dal 2021 abbiamo una stazione di rifornimento, adottiamo il mix fra idrogeno ed elettrico dal 2013”.
Ma rispetto agli obiettivi che l’Europa ci pone, le decisioni di investimento sono ancora flebili.
Luigi De Paoli di Bocconi cita un dato esemplificativo: su circa 40 milioni di tonnellate di idrogeno previste per il 2030, la quota arrivata alla decisione di investimento –quindi impegnata- è il 4%.