Gli intrecci del destino…e le toppe che cambiano la vita
Quella di Luciano Vivolo è una storia che Vittorio de Sica avrebbe tradotto in film neorealista. Una storia italiana, sfociata in successo dopo il sudore, il coraggio, l’umiltà, l’autenticità, la passione e la semplicità di chi segue il proprio cuore e lo rende il propulsore che guida la vita. Oggi Luciano Vivolo è a capo di una realtà che lavora con le principali griffe al mondo nel comparto degli accessori in pelle e in materiali vari.
Tutto, in effetti, iniziò da una toppa. Una toppa che Luciano cucì sulla tutina di suo figlio dopo aver fatto mille lavori, dopo essersi trasferito dall’Irpinia –quinto di nove figli- alla Bologna degli anni Sessanta, dove la sera, fra tante altre occupazioni, lavorava in un laboratorio di taglio pelli e conservava gli scarti.
“Avevo la cantina intasata di ritagli e, per riparare due tutine, confezionai due toppe colorate. Il giorno dopo dall’asilo piovvero richieste, le volevano tutti. Così ne preparai 50, rilegate a dovere e le portai alla vicina merceria. Il giorno successivo erano tutte vendute”.
Era già economia circolare: i ritagli diventavano toppe che Luciano, man mano, proponeva alle mercerie di Modena, Reggio Emilia, Parma. La classica ditta individuale con partita IVA, in cui il titolare acquista, vende, amministra.
Poi, l’impulso di scrivere al Corriere della Sera. Naif, geniale, immediato.

Come il Corriere della Sera commissionò 2 milioni di toppe
“Inviai una coppia di toppe al Corriere, pensando ai gadget che il giornale metteva in cellophane allegato al numero. Mi chiamò dopo due giorni Angelo Rizzoli. Mi convocò in via Solferino, valutò l’idea e riapparve dopo 15 minuti con un ordine per 2 milioni di toppe. Ebbi anche un trafiletto sul Corriere”.
Poi, il boom delle toppe si affievolisce ma lo spirito di osservazione di Vivolo è già sulla personalizzazione country dei capi di abbigliamento, in onore a un altro grande trend del tempo. Anche lì, l’arrivo di una griffe importante dà un impulso al business e configura quello che sarebbe diventato il core della Vivolo: creare prodotti personalizzati, di alta qualità, made in Italy. “Al momento la Vivolo non ha competitor, stiamo entrando anche nell’area calzaturiero pellettiera con un investimento importante per risorse umane e macchinari”. In Vivolo si stampa un pezzo alla volta. Il team di grafici lavora a collezioni periodiche logate Vivolo, che forniscono al brand l’ispirazione per personalizzare gli articoli e farli loro.
300 clienti da tutto il mondo
Oggi Vivolo fattura 18 milioni di euro. Potrebbero essere molti di più, ma qui mantenere il modello di business accurato, aggiornare i software, personalizzare i macchinari e lavorare con passione prevale sui numeri.
“Oggi sarebbe durissima fare ciò che ho fatto in questi anni, ti copiano con grande velocità. Pensi una cosa e l’ hanno già realizzata in un’altra parte del mondo . Una volta almeno sette mesi di tregua li avevi”.
“Oggi sarebbe durissima fare ciò che ho fatto in questi anni, ti copiano con grande velocità. Pensi una cosa e l’ hanno già realizzata in un’altra parte del mondo. Una volta almeno sette mesi di tregua li avevi”.
Ma il made in Italy, la cura, l’unicità del manufatto vincono anche questa volta laddove emerge il valore del brand.
A giugno 2023 tutti i clienti, circa 300 aziende nel mondo, hanno risposto alla chiamata di Luciano Vivolo, compreso il direttore generale mondo di Zara, Roberto Sanchez. È scritta di suo pugno la dedica, dietro una foto in cui Luciano Vivolo suona la batteria, antica passione che lo accompagnava fra un lavoro e l’altro e che non si è mai sopita. Anche sul fronte del passaggio generazionale, Vivolo traccia un esempio.
“I miei 4 figli sono in azienda, due maschi e due femmine, seguono i rapporti con le griffe, la parte contabile, le relazioni con i clienti esteri, questo investimento lo ho fatto per loro”.
E in autunno, la sorpresa: il libro che racconta la storia di Luciano Vivolo, con un editore noto a livello internazionale.
