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Queer-eccentrico: come Valentino sfociò nel delta della Biennale

Queer-eccentrico: come Valentino sfociò nel delta della Biennale

Mi identifico anche come queer, il primo curatore dichiaratamente queer nella storia della Biennale Arte” ha detto Adriano Pedrosa, il primo curatore della Biennale proveniente dall’America Latina. Che, per esprimerlo con le parole del Presidente della manifestazione artistica, Roberto Cicutto, è stato scelto perché portasse “il suo punto di vista sull’arte contemporanea rileggendo culture diverse come fosse un controcampo cinematografico” 

E Pedrosa he preso le coordinate di “centro” e “periferia” dissolvendole nel titolo “Stranieri Ovunque”, che configura la Biennale 2024. Ergo, l’etimo della parola che si fonda sull’aggettivo “strano”, dipende dalla prospettiva di chi guarda. 

Siamo tutti stranieri, tutto sta a capire dove viene collocato il centro di volta in volta. Queer significa appunto “eccentrico”, lontano da uno schema centrale precostituito, dalla zona comfort antropologica. 

E, se ci pensiamo, la recente scelta di Valentino -che affida la propria direzione creativa ad Alessandro Michele– ricade pienamente nella volatilità dei confini etimologici smontati dalla Biennale. La moda, concettualizzata, è arte, porta messaggi estetici e socio culturali, crea modelli identificativi, scioglie le barriere gender, è un meta-mondo in cui ogni ragionamento risulta possibile. 

Alessandro Michele, l’artista queer, il coraggio di cambiare

Il mondo della moda si è completamente spaccato all’annuncio della maison: chi considera Michele un genio non imbrigliabile in rigidi confini identitari e chi lo definisce assolutamente inidoneo a rappresentare l’archetipo elegante e mai eccessivo di Valentino. 

Ma questo è il punto: l’archetipo. 

Come ci ricorda Adriano Pedrosa, citando Das Unheimliche di Sigmund Freud (tradotto in italiano significa “Il perturbante”), il seme dell’insolito serve proprio a indurre il cambio di prospettiva. 

Pierpaolo Piccioli, passando il testimone a Michele, lascia la direzione creativa che aveva in carico dal 2016 ma soprattutto lascia un’azienda in cui entrò nel 1999, anno in cui avviò la sua collaborazione con Valentino Garavani.

E Michele esce da una Gucci che di cui ha stravolto i modelli visivi, ispirandosi al cinema, alla pittura, a un universo interiore multiforme che forse viene dall’antica passione di scenografo ma che certo configura l’irriverenza colta delle élite contemporanee. 

Michele porta in passerella animali fantastici, ambienta un défilé nella ideale necropoli di Arles recuperando una storia antica, coinvolge gli astanti in un proscenio teatrale che va ben oltre il linguaggio della moda. Fa convivere solennità e gioco. 

Non è un azzardo perciò dire che senza quasi percepirlo, Valentino ha abbracciato lo spirito queer tanto caro a Pedrosa, ora al centro della narrazione alla Biennale di Venezia. 

Lo spirito queer è ciclico, anche se oggi permea la Biennale

Paul Poiret, definito “le magnifique”, negli anni venti, liberò le donne dalla schiavitù dei corsetti. E ancora l’arte, con i futuristi, sconfisse gli stereotipi borghesi culminando nel “vestito antineutrale” di Balla; Coco Chanel, complice la conoscenza con Pablo Picasso, rivoluzionò lo stile del tempo. 
Oggi, l’artista queer irrompe sulla scena e sulle coordinate solide e inossidabili di Valentino come un Libeccio. 

Il brand Valentino ha fatto il suo ingresso in Kering, che ne ha rilevato il 30% con l’opzione di acquistare la totalità del capitale entro il 2028. La griffe va a gonfie vele –ha archiviato il 2021 con un +41% delle vendite grazie a un riposizionamento e al bilanciamento fra wholesale e retail- e ha chiuso  il 2022 a quota 1,4 miliardi con un Ebitda di circa 350 milioni. 
Grande è la trepidazione per la prima sfilata di Michele, quella della primavera estate 2025 che verrà presentata alla settimana della moda di Parigi il prossimo settembre. 

Una cosa è certa: almeno ideologicamente –e seguendo il fil rouge suggerito dalla Biennale- Michele è in linea con il desiderio alchemico di smontare i luoghi comuni che permea la società. 

Lui stesso ha dichiarato che il lavoro di Valentino ha sempre rappresentato per lui “una irrinunciabile fonte di ispirazione”, specificando di volerlo rileggere attraverso la sua “visione creativa”. 
Come Michele saprà interpretare la ricercatezza ed estrema grazia che ha sempre caratterizzato il lavoro di Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti è una sorpresa. Una scommessa che ad Adriano Pedrosa piacerebbe…

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Monica Camozzi

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